Il mondo del guitar-pop non credo abbia bisogno di eroi. Essere eroi, nella veste più classica del termine, spesso vuol dire prendersi onori, lodi, copertine…essere bene in vista. No, spesso il mondo del guitar-pop (quello che io amo, forse è giusto specificarlo) ha forse bisogno (e contempla con affetto) di personaggi schivi, che quasi mal sopportano le luci della ribalta, che forse non si sentono eroi nemmeno nella loro stanza, con una chitarra, mentre regalano perle melodiche che poi entreranno nel cuore e nella mente di noi devoti. Ecco, Glenn Donaldson, dopo 4 dischi perfetti, potrebbe tranquillamente aspirare al ruolo di “eroe del genere jangly-pop“, ma credo che lui stesso si metterebbe a ridere se glielo dicessimo e noi ci guardiamo bene dal farlo, però non possiamo fare a meno di ringraziarlo per simili meraviglie.

“Summer At Land’s End” è un nuovo tassello di un percorso ormai consolidato: non ci sono rivoluzioni nel suono, non troverete scossoni alla sua poetica, alla sua scrittura e alle tematiche da lui trattate, fatte di storie di tutti i giorni, pezzi di vita vissuta e di amori più o meno solidi, ma paradossalmente quello che potrebbe sembrare un punto debole è invece il suo punto di forza. Diceva, infatti, un vecchio slogan felliniano di un tempo “Non si interrompe un’ emozione“, ecco, io lo faccio mio per rimarcare come il flusso emozionale di Glenn non va bloccato o fermato, anzi, va coltivato e seguito con amore, passione, costanza, perchè capace, empaticamente, di entrare dentro di noi e accompagnarci nel corso del tempo: un nuovo album dei The Reds, Pinks & Purples è quindi necessario come un nuovo capitolo di un libro che ci appassiona, non si può non continuare a leggerlo con avidità , perchè più che un semplice romanzo sembra quasi una nostra biografia.

Sempre più mi viene da accostare Glenn a uno dei miei idoli assoluti, ovvero F. M. Cornog (East River Pipe) e non solo per l’etica lavorativa basata sull’autoproduzione e la registrazione casalinga, ma proprio per la capacità  di musicare in modo mirabile (spesso sagace e ironico) temi personali, sconfitte (tante), vittorie (poche) e spaccati di quotidianità , con melodie tanto immediate e all’apparenza solari e accattivanti quanto dannatamente malinconiche (la title track dipinge una giornata uggiosa e languida come nient’altro, ad esempio o cosa dire della mestizia toccante di “Upside Down In An Empty Room” o di quell’organetto che spacca il cuore in “Dahlias and Rain”?).
Certo “Pour The Light In” o “Tell me What’s Real” (giusto per fare due titoli) hanno una costruzione strofa-ritornello che dovrebbe entrare nei libri di storia sotto la voce “perfezione guitar-pop” vista l’immediatezza e la magia melodica che sprigionano, ma non fatevi ingannare dalla dolcezza del jangly, perchè è proprio li che sta la grandezza di eroi come Donaldson o Cornog, nel riuscire a creare alla perfezione l’effetto “agrodolce” (in bilico tra sorrisi e pianto, tra slanci positivi e timidezze che spingono all’abbandono), cosa tutt’altro che facile, ve lo assicuro.

Anche se Glenn, musicalmente parlando, è stato in grado di scrivere canzoni ancora più immediate in passato, sono sincero se dico che questo è il disco di The Reds, Pinks & Purples che preferisco, forse perchè intravedo, come non mai, in questo album la forza di immensa di attaccarsi saldamente alla nostra pelle e resistere, ancora più dei suoi comunque mirabili predecessori, nei nostri pensieri: non vi libererete facilmente di queste melodie, ve lo garantisco.