Le barchette del tempo a cui allude l’11esimo album degli Animal Collective testimoniano fin dal titolo l’intenzione soggettiva ma anche affettuosamente condivisibile di traghettare il gruppo di Baltimora oltre i confini del tempo sensorialmente percepito, come se giunti oramai ai limiti di una certa anzianità di ruolo e anche di una carriera che ha già visto diverse evoluzioni dal suo interno, ci si sentisse in dovere di calibrare la propria dimensione temporale dentro un quadro più ristretto, quasi un paradosso per una proposta musicale che si è sempre pregiata di non essere assimilabile alle mode vigenti, ma di rimanere in un territorio sperimentale altro, che abbracciasse più generi senza per questo identificarsi su qualcosa di specifico, se non per una comune esigenza psichedelica che ha prodotto patchworks compositivi e che è alla base anche della dissacrante e schizzofrenica copertina di questo “Time skiffs”
Per dire, che ogni volta che ci si approccia ad un nuovo disco degli Animal, è sempre stato unico e gratificante godere di quella invidiabile sensazione di aspettarsi l’inaspettato, che ha quasi sempre coinciso con questi non più giovanotti con una una carica di positività e soprattutto di contemporaneità underground dell’assetto musicale ma anche culturale americano dai 2000 in su. Questa carica detonante è fisiologicamente venuta meno con gli ultimi 2/3 album dei nostri, vuoi appunto per l’inerzia che ci assale quando facciamo le stesse cose da un pò pur in modo diverso, vuoi immagino in relazione alle avventure soliste dei due Avey Tare e Panda Bear, che hanno ramificato e forse disperso questa linfa, pur con un buon livello qualitativo dei singoli risultati nelle loro esperienze personali.
Per dire inoltre, che l’idea di questo viaggio in barchetta sembra partire comunque da una decisione di reunion ad hoc, come uno stop and go di nuovo conio, che è più legato alla realizzazione contestuale di “Time skiffs” che non ad un’idea di evoluzione del suono Animal Collective, il che non è assolutamente disdicevole, ma la semplice constatazione di un momento di scrittura creativa che parte da qui tardo 2021, New York probabilmente, che ha tracce con sè di quello che fu la dissonanza e l’esuberante freschezza dei periodi d’oro , ma che si confronta con la questione dell’inevitabile scorrere delle cose.
Ne esce un album sufficientemente dignitoso, non arrendevole, dove la routine cede nei momenti migliori il posto ad una talentuosa verve, con diverse luci ma anche ombre, o meglio canzoni non all’altezza del repertorio, che scivolano via insipide (“Car Keys”, “Passer-by”, mezza “We go back”), in numero non così esiguo rispetto alle 9 canzoni complessive; perchè poi il resto suggerisce e presenta anche buona freschezza, quella idea di meraviglia sonora che si rintraccia in brani cose come l’iniziale “Dragon Slayer” o la super pop “Walker”, con lo sfondo da pruriginosa tropicalia dai ritmi morbidi, liquida e naturale, con alcune delle più azzeccate melodie alla Brian Wilson di Noax Lennox, a volte addirittura con una trainante effervescenza, quasi da giocoso rito collettivo come in “Strung with Everything”, oppure in “Cherokee” con la sua coda in wave psichedelico dal crescendo etereo dei tempi buoni.
Certo non ci sono in “Time skiffs” momenti deliranti, non si trovano loop lisergici, addirittura si finisce con una specie di ballatona, anche sincera (“Royal and desire”), buona per una dolce serata, che fa un certo effetto, ma che si lascia ascoltare oggettivamente; un disco che assegna alla band di “Merryweather Pavillon” il tentativo maturo di connettersi ad un’idea di equilibrio, che era del tutto secondaria o ininfluente rispetto agli esordi o ai tempi del qui citato loro capolavoro, ma che gioco forza si denota nella omogeneità studiata delle canzoni che hanno un senso anche piacevole di compiuto, il che non coincide col poco ispirato, anzi, si tratta dell’ennesima evoluzione di un gruppo instabile per definizione, che ora prova a fare i conti interni alla ricerca non scontata e dagli esiti imprevedibili, di banalmente sopravvivere e contestualmente conservare la vitalità ed il gusto degli esordi.
Credit Foto: Hisham Bharoocha