Non sembra conoscere freni la fame di nuova musica in casa Korn. A poco più di due anni di distanza dal precedente “The Nothing”, infatti, ecco giungere tra le nostre mani il nuovissimo “Requiem”, quattordicesimo lavoro in studio per il quintetto di Bakersfield ““ nel frattempo diventato quartetto per la pausa a tempo indeterminato che lo storico bassista Fieldy ha deciso di concedersi una volta terminate le registrazioni. Un disco che, come tanti ormai, è figlio di questi disgraziatissimi anni pandemici; una sorta di reazione creativa al totale blocco delle attività live imposto dall’infuriare del virus.
La band, stando a quanto comunicato all’uscita del primo singolo estratto “Start The Healing”, ha voluto approfittare del lunghissimo periodo di sosta per tornare a sperimentare con tecniche e stili nuovi, affidandosi ai preziosi consigli del produttore Chris Collier nella speranza di poter replicare le recenti ““ e abbastanza fortunate ““ esperienze di “The Serenity Of Suffering” (2016) e del già citato “The Nothing” (2019).
Il sound di “Requiem” ““ che, nonostante i proclami, di innovativo ha poco o nulla ““ si allontana assai poco da quanto ascoltato nelle due opere precedenti; una più che degna aggiunta in una discografia segnata da tanti picchi ma non priva di pericolosi scivoloni, la maggior parte dei quali concentrati nella fase compresa tra l’addio e il ritorno in formazione del chitarrista Brian Head Welch.
Un album breve, compatto e con poche sfumature, dominato dal caratteristico gusto melodico di un Jonathan Davis ormai padrone unico di un progetto lontano anni luce dal nu metal tanto asfissiante quanto groovy degli indimenticabili esordi. Il punto di riferimento è, ancora una volta, il fresco ventenne “Untouchables”, a detta di chi scrive l’ultimo grande lavoro dell’era classica dei Korn. Il legame è evidente soprattutto nei brani più “orecchiabili”, sempre contraddistinti dai riff potenti e incisivi di Head e Munky e da una tendenza all’epico che emerge in maniera netta nei ritornelli (“Forgotten”, “Start The Healing”, “Lost In The Grandeur”, “Disconnect”, “Penance To Sorrow” e l’ottima “Let The Dark Do The Rest”, a modo loro tutte molto radio-friendly nonostante la spiccata pesantezza).
Alcune canzoni portano la firma di Lauren Christy, espertissima autrice britannica nonchè membro del collettivo The Matrix, trio di artigiani del pop d’alta classifica (loro dietro i primissimi successi di Avril Lavigne) che i fan dei Korn ricorderanno dai tempi di “See You On The Other Side” del 2005. Una collaborazione che, a più di qualche attento ascoltatore, potrebbe far storcere il naso: la band non ha mai dato il massimo quando ha provato a distanziarsi dalla propria natura e a fare l’occhiolino al mainstream.
Ma io sono qui a dirvi di non temere, perchè “Requiem” è un disco che a tratti sa essere veramente molto heavy. Forse anche troppo: tracce come “Hopeless And Beaten”, “My Confession” e “Worst Is On Its Way” (dove ritroviamo con piacere l’iconico scat davisiano) sono così cariche e violente da togliere il fiato.
Nessuna novità : i Korn tornano a mostrare i muscoli ma lo fanno in maniera un po’ forzata, quasi a voler dare il contentino ai seguaci nostalgici dei gloriosi anni ’90. Il meglio lo riservano ai pezzi più tradizionalmente vicini al filone alternative metal: melodici, elaborati e ricchi di quelle dinamiche capaci di rendere il tutto un po’ più speziato e interessante. Un piccolo passo indietro rispetto al superiore “The Nothing”, ma lo stato di forma è ancora invidiabile. E non è cosa di poco conto, considerando il fatto che stiamo parlando di un gruppo per il quale in tantissimi avevano già recitato un requiem.
Photo credit: Tim Saccenti