Ci sono parabole di persone cadute controvoglia nel mondo che tutti conosciamo, che per le loro peculiarità non trovano le minime corrispondenze al loro incedere, si sforzano inutilmente di trovare pace e casa ad una sensibilità aliena, composta dallo stesso linguaggio di coloro che la osservano ma totalmente incompresa ed avulsa, di una profondità abissale per essere percepita e valorizzata.
Ce ne sono stati tanti di esempi nella storia del rock ed Ellioth Smith negli anni 90 ha rappresentato una di queste ultime anime fragili in balia dei propri demoni, capace però di trovare nella musica il proprio percorso di liberazione, senza però risolvere e liberarsi in modo definitivo ma approdando al noto tragico epilogo.
“Either/or” è il suo terzo album, quello forse più compiuto dove il cantautorato classico, voce e chitarra acustica, è accompagnato a leggere accelerazioni e ad un irrobustimento degli arrangiamenti che portano anche le canzoni ad essere più briose del solito, dando maggiore enfasi alla vena melodica ed alla scrittura in verità sempre pregnante di cupo pessimismo, ma sintatticamente immutata all’interno della poetica del cantante di Omaha.
Frasi scritte con la dolenza della solitudine in mano incapace di avere quella corresponsione amorosa agognata ma illusoria (in “Alameda” Nobody broke your heart/You broke your own because you can’t finish what you start/Nobody broke your heart/If you’re alone it must be you that wants to be apart), con una debordante consapevolezza quasi ovvia della situazione di incomprensione infinita (in “No Name no.5” And I hope you’re not waiting, waiting ‘round for me/’Cause I’m not going anywhere, obviously), soprattutto con la disperazione di chi non riesce ad affrontare la libertà delle scelte opportune per se stesso (in “Ballad of big nothing” Do what you want to whenever you want to/Though it doesn’t mean a thing/Big nothing) che crudelmente rendono queste liriche uniche e così maledette , che ci fanno ancora tremare, al solito attratti dal magnete di chi sa condensare in un così breve spazio di una strofa o di un refrain, la strana difficoltà del vivere.
Perchè la musica di Smith altro non è che questo, una sincera e tenera confessione di disadattamento e allo stesso tempo di tensione romantica sublime che che in parte cozza col comune sentire e che ha provocato anche in questo caso una specie di repulsione da parte del music business che si ripercuote sulla diffusione stessa della musica che si ascolta, ma che se sfonda i cuori più dotati, si attacca in modo indissolubile e non ti molla più, benchè ad una certa siamo costretti a mollarla perchè insidiosa pure per noi.
Qui dentro ci sono perle come “Between the bars” definitivo inno enigmatico con un Ellioth ispiratissimo, voce sussurrata e arpeggio magico, assieme ad altre canzoni in minore, che ancora oggi si ricordano (“Speed Trials”, “No name no.5”, per dire), ma è l’insieme di questa alternanza fra dolcezza e irrequietezza, che ha connotato la dimensione da vero esemplare di indie anni 90 ad un loner unico come gli altri, ad un musicista di assoluto talento, si direbbe one of that kind, che purtroppo portava con sè la scimmia del mal di vivere solo a guardarlo, ma che ha riempito cuori e momenti più di quanto pensasse di riuscire a fare, o avesse avuto la minima voglia di fare, nella sua breve esistenza.
Pubblicazione: 25 febbraio 1997
Durata: 37:00
Tracce: 12
Genere: Indie folk
Etichetta: Kill Rock Stars
Tracklist:
1. Speed Trials
2. Alameda
3. Ballad of Big Nothing
4. Between the Bars
5. Pictures of Me
6. No Name No. 5
7. Rose Parade
8. Punch and Judy
9. Angeles
10. Cupid’s Trick
11. 2:45 AM
12. Say Yes