“Quando cominciammo eravamo un amalgama tra i My Bloody Valentine, i Jesus And Mary Chain e gli House Of Love.
La nostra idea è quella di allontanarci dalla scena shoegaze e ripartire daccapo.
Come se avessimo di nuovo un foglio bianco davanti”
Andy Bell, Ride
I primi anni novanta erano un fermento incredibile di nuove sonorità e correnti musicali: nel mondo impazzava il Grunge che nell’autunno del 1991 aveva visto il suo apice con la pubblicazione di “Nevermind” dei Nirvana. In Inghilterra impazzava il british pop come onda lunga del fenomeno “Mad-chester”. A Bristol nasceva il Trip-Hop.
Ma in parallelo c’era già da qualche anno un sottobosco musicale di band tutte collegate tra loro, una scena che celebrava se stessa come, non senza disprezzo, la descriveva la stampa. Era quella dei “guardatori di scarpe”, gli shoegazer. Anche questo termine non proprio positivo venne affibbiato dai giornalisti inglesi per tutte quelle band che suonavano sul palco con vestiti di poco conto e guardando i pedali delle chitarre che usavano in continuazione per creare questo sound molto particolare.
Ad Oxford c’erano i Ride, un quartetto che già aveva strabiliato con un seguito di EP agli inizi del 1990, su volere di Alan Macgee della Creation, che li aveva visti in concerto a Sheffield.
Sempre nel ’90 venne pubblicato “Nowhere“, album considerato ancora oggi una delle pietre miliari del genere.
Durante il tour mondiale della band, nei lunghi spostamenti di un epoca senza voli low costs, internet e smartphones, la band passava il tempo componendo nuovi brani, per ampliare i loro orizzonti e “lasciarseli tutti indietro“.
“Wheels turning around,
Into alien ground,
Pass through different times,
Leave them all behind”
Mark Gardener, main vocalist della band, racconterà di aver scritto questi versi, la grandissima opener “Leave Them All Behind”, osservando le ruote del tour-bus, mentre giravano negli Stati Uniti, una terra straniera. Con la volontà di lasciarsi indietro tutto quel movimento shoegazer che un tantino gli stava stretto.
Avevano ampliato i loro orizzonti musicali, ascoltavano dai Massive Attack ai Led Zeppelin, dai Kraftwerk ai Nirvana, per finire con gli Who di “Who’s Next”, dai quali trassero ispirazione con quell’organo hammond sull’intro del brano.
E questo si sente, il suono è molto più elaborato, maturo, coerente, con le due voci di Bell e Gardener che si sovrappongono l’un l’altra armonicamente.
Il cambiamento di orizzonte appare chiaro con “Twisterella”, brano pop leggiadro e sublime, che strizza l’occhio alle chart e dimostra che il quartetto ha davvero fatto lo shift verso nuovi orizzonti.
“I won’t be a monkey / in anyone’s zoo” è la prima strofa di “Not Fazed”, brano cupo e tirato, con pochissime parole ripetute all’infinito. Bell & Gardener si ispirano ai Television ed il loro modo di suonare le chitarre in modo asincrono.
Poi un power chord di chitarra acustica ci porta ad uno dei picchi inarrivabili di questo album: “Chrome Waves” sa di “Unfinished Sympathy” dei Massive Attack non tanto per la musica ma per lo spirito del brano, forse anche per quelle tastiere di sottofondo che un po’ la ricordano. Una vera e propria perfect song. In un certo senso sembra una “Vapour Trail” con il nuovo spirito dei Ride, più ecclettico e open minded.
L’album sembra scivolare verso un lento declino, attraverso l’acida “Mouse Trap” e la potente “Time After Time” quando ecco che ti arriva il capolavoro: “Cool Your Boots”. Si apre con il campionamento di un film d’essay dal titolo “Withnail & I” e il campionamento che dice “Even a stopped clock tell the right time twice a day“, il colmo dell’ottimismo in pratica, anche un orologio rotto, segna l’ora esatta due volte al giorno. Poi le trame di chitarre si stendono su una batteria sgrammaticata che ci culla fino al gran finale, dove la stessa sembra impazzire e perdere il ritmo ripetutamente. Indimenticabile.
La chiusura con “OX4” (Il CAP di Oxfrord) un brano che sa di Neu! e quell’elettronica Krautrock che fa da pattern di sottofondo, ad un brano che potrebbe tendenzialmente non finire mai.
La produzione di Alan Moulder ha aggiunto maturità e profondità al sound dei Ride, proiettando il disco verso uno spettro sonoro che sarà il leit motiv degli anni 90 e 2000.
Ciliegina sulla torta è l’iconica copertina, un ritratto in bianco e nero colorato dall’artista Cristopher Gunson, che ti rimane stampato nella mente.
A 30 anni dalla pubblicazione questo disco non ha perso nulla, è come sospeso nel suo universo parallelo, l’apice della prima parte della carriera dei Ride, che dopo la reunion sono tra le poche band che non hanno affatto deluso, anzi.
“Abbiamo lavorato velocemente, tutto è filato liscio come l’olio.
Erano un’ottima band.
Sapevano suonare davvero”
Alan Moulder, producer.
E si sente.
Data di pubblicazione: 9 Marzo 1992
Tracce: 10
Durata: 50:24
Etichetta: Creation Records
Produttore: Alan Moulder, Ride
Tracklist:
1. Leave Them All Behind
2. Twisterella
3. Not Fazed
4. Chrome Waves
5. Mouse Trap
6. Time of Her Time
7. Cool Your Boots
8. Making Judy Smile
9. Time Machine
10. OX4