Abbiamo recentemente rivisitato l’esordio dei Doors, indicandolo come pioniere di quel rock “maledetto” che negli anni ’60 sovvertì il modo di intendere la musica popolare, non più semplice intrattenimento per figli ribelli di famiglie borghesi, ma vero e proprio stile di vita per quella generazione che affrontò la rivoluzione ideologica che modellò la seconda metà  del ‘900. E a proposito di quell’opera miliare, avevamo anche accennato di come essa costituisse, almeno idealmente, solo una parte della storia. Ed è ora giunto il momento di raccontarne un’altra.

I Velvet Underground si erano formati a New York a metà  anni ’60. La leggendaria formazione comprendeva Lou Reed, John Cale, il chitarrista Sterling Morrison e la batterista Maureen Tucker. A questo primo disco partecipò anche la modella tedesca Nico, mentre alla produzione c’erano Tom Wilson, già  attivo nel jazz e successore di John Hammond nel percorso artistico che portò Bob Dylan all’epocale “svolta elettrica”, ed Andy Warhol, che curò anche l’art-work e l’inconfondibile copertina con la banana sbucciabile.

“The Velvet Underground & Nico” uscì il 12 marzo del 1967 ed è, almeno dalla sua riscoperta, avvenuta a più riprese tra i primi anni ’80 e i ’90, uno degli album universalmente riconosciuti tra i più importanti della storia della musica, non solo quella rock. La varie scuole e sensibilità  che lo animarono (avanguardia minimalista, pop-art, poesia beat, rock & roll, musica etnica) ne faranno difatti una fucina di idee che pochi altri artisti possono vantarsi di aver lasciato ai posteri (da qui la celebre battuta di Brian Eno sulla seminalità  dell’opera).

Il tintinnio metallico e spettrale di “Sunday Morning” ne è l’immortale introduzione, cantata da Reed con carezzevole inflessione femminea, e schiude le porte al documentario schizofrenico in cui vengono ricomposte le tessere del mosaico, sempre contraddistinte da una dicotomia fra marciume e grazia salvifica, ripugnanza e seduzione.

L’algida e ammaliante Nico intona con perfida dolcezza la sua “Femme Fatale”, un’imperturbabile mangiatrice di uomini, e la romantica “I’ll Be Your Mirror”. Il timbro pesantemente teutonico della sua voce, pure stonata, dona una luce espressionista e disarticolata che farà  scuola.

I momenti più vicini alla musica pop sono consorziati in un trittico garage composto da “I’m Waiting for the Man”, “Run Run Run” e “There She Goes Again”, ambientate in uno straniante clima urbano in cui si incrociano studenti, spacciatori portoricani e dolci donzelle disposte a vendersi l’anima (e qualcos’altro) in cambio di una dose di eroina. Ed è quest’ultima la grande protagonista della celeberrima “Heroin”, un catatonico crescendo in cui Reed descrive candidamente l’effetto dell’ago nella vena e poi su fino al cervello.

Il meglio del meglio si ha nei due grandi rituali orgiastici, che imprimono l’incipit a tutti i generi alternativi che verranno, dal glam-rock al punk, dalla no-wave al noise. “Venus in Furs”, ipnotica narrazione di un rapporto sadomaso ambientata in un bazaar avvolto dai fumi dell’oppio, viaggio nella depravazione fino alla narcosi totale dei sensi, è uno dei brani più imitati nella storia del rock. “All Tomorrow’s Parties”, modulata solennemente da Nico, è l’altro boudoir in cui si incontrano personaggi di ogni sorta, clown, cenerentole, travestiti e guitti in maschera, tutti disposti a spogliarsi per rivelare la propria intima essenza, in un’ammucchiata senza fine.

Sul finale, la sperimentazione prende decisamente il sopravvento con la declamazione di “The Black Angel’s Death Song” e nella coda cacofonica di “European Son” (dedicata allo scrittore Delmore Schwartz), prova generale della sterminata “Sister Ray” che imperverserà  sul successivo “White Light / White Heat“.

Pochi album hanno saputo esercitare un’influenza così duratura come “The Velvet Underground & Nico”, travalicando le soglie dei generi e delle generazioni. Le carriere soliste di Nico, John Cale e Lou Reed (per tacere del lascito artistico di Warhol) sono più che semplici appendici, ma costituiscono parte integrante di quel miracoloso connubio che dette vita ad una delle saghe più spettacolari della cultura americana all’apogeo del suo dominio, esibendone in nuce i semi che la trascineranno dallo splendore fino al collasso prossimo venturo.

Data di pubblicazione: 12 marzo 1967
Registrato: Scepter Studios e Atlantic Studios (New York), TTG Studios (Hollywood)
Tracce: 11
Lunghezza: 47:51
Etichetta: Verve
Produttore: Andy Warhol e Tom Wilson

Tracklist
1. Sunday Morning
2. I’m Waiting for the Man
3. Femme Fatale
4. Venus in Furs
5. Run Run Run
6. All Tomorrow’s Parties
7. Heroin
8. There She Goes Again
9. I’ll Be Your Mirror
10. The Black Angel’s Death Song
11. European Son