Ci sono poche certezze nella vita e una di quelle, diamine, è la genialità di Stromae e le sue moltitudini d’artista.
Otto anni d’attesa, otto lunghissimi anni dai successi “Papaoutai”, “Formidable” e “Tous les màªmes” nell’album del 2013 che provocò nel ragazzo belga una scelta: “gna faccio più”. Le varie motivazioni dell’epoca furono tante: il crollo sicuramente era stato dato dai troppi impegni, dai troppi concerti e comparizioni televisive/radiofoniche in giro per il mondo. Stromae aveva dato il via ad un nuovo genere (anzi un melting pot di generi) con al centro la lingua francese e il peso iniziava a farsi sentire. Lo abbiamo ritrovato, a sorpresa, in “Everyday Life” dei Coldplay (2019) all’interno della canzone, spettacolare, “Arabesque” e poi basta.
“Multitude” è sicuramente uno degli album dell’anno, fino a prova contraria. L’anno scorso Paul Van Haver (il suo vero nome) ci aveva stupiti con il primo singolo che anticipava questo nuovo lavoro: “Santè” è stata la bombina del 2021, sia per il suo ritmo travolgente (si parlerà molto delle basi prodotte da questo ragazzo) sia per la novità e la curiosità che portava dietro. Successivamente poi, il colpo di genio: al tg nazionale francese, in prime time, va a cantare il nuovo singolo “L’Enfer” che non parla dell’inferno vero e proprio, ma di cosa una persona può vivere o provare pensando al suicidio, alla depressione e alla solitudine. Insomma, robine pesanti e molto complicate. La performance era totalmente a cappella, niente basi e niente armonizzazioni della voce. Il messaggio era chiaro, serio e doveva essere trasmesso così.
Questo disco è sicuramente la sua rinascita, il suo tornare alla luce dopo un periodo vissuto tra attacchi di panico, allucinazioni e diagnosi non molto belle. Infatti, la prima traccia è “Invaincu” ovvero “imbattuto” a significare che lui ce l’ha fatta, che è uscito da un periodo durato anche troppo e che il disco parlerà proprio di questo. La forza interiore e la volontà di reagire escono fuori dalle prime note di questa prima canzone. Già in questo primo step, la produzione è altissima: si vede che c’è uno studio quasi perfezionista e megalomane alle spalle in quanto sono proprio le basi musicali a far risaltare la bellezza dei testi. Come dicevo prima, si parla di melting pot di genere ossia un mix di strumenti (chitarre acustiche, archi, synth da EDM etc.) dove lo spettro sonoro si allarga all’infinito mischiando non solo cantautorato francese, ma anche rap, dance ed esotismi vari. Ti sembra proprio di passare da un continente all’altro, di abbracciare nuove culture. La professionalità di Stromae rende questi brani reali e veritieri. Pensate che per il brano “La Salassitude” aveva campionato, assieme al fratello, l’erhu ovvero un antichissimo violino cinese (poi scartato, perchè banale).
Il legame tra la sua vita, le sue esperienze è l’umanità intera rende questo nuovo disco un prodotto per tutti noi: la ricerca dell’umanità condivisa, dei suoi tratti e dei momenti (brutti o belli) che ogni persona vive è al centro. “Ti ho dato la vita, tu hai salvato la mia” dice in “C’est que du Bonheur”. E questa condivisione dell’umanità si riflette anche nei personaggi che interpreta in ogni brano: prima un donnaiolo poi un caratterista fino al figlio di una prostituta (“Fils de Joie”).
In conclusione questo è l’album per chi vuole leggere temi impegnativi, ma con un sound leggero e armonioso. “Riez”, infatti, parla di chi ha la possibilità di ridere e di chi non ce l’ha e “Mauvaise journèe” di una brutta giornata, ma a ritmo boliviano. Una persona qualunque direbbe che questi argomenti così complicati vengono sminuiti dalle basi “allegre e movimentate”: in verità non è proprio così. La bravura poliedrica di Stromae sta proprio nel fatto di far passare temi così profondi e comuni a tutti noi attraverso una semplicità d’animo, e questo grazie alle musiche. Il ragazzo è il livello 2.0 del cantautorato francese che, su basi semplici e “serie”, parlava di morte, amori impossibili e via dicendo: grazie a lui siamo andati avanti e non possiamo che esserne felici.
Credit Foto: Michael Ferire