Tra i primi fiori a sbocciare nella Primavera del 1968 c’è stato quello di un artista predestinato.
Stiamo parlando di Damon Albarn, gente, che oggi compie 54 anni.
Per chi l’avesse perso un po’ di vista, lo scorso Novembre, il suddetto ha pubblicato il secondo disco solista ““ ben gradito dalla critica e dai suoi adepti ““ “The Nearer The Fountain, More Pure The Streams Flows”. Attualmente, lo sta portando in tour. Subito dopo, gli aspetterà un altro tour con i Gorillaz: partirà in Sud America e proseguirà in Europa ““ tra cui la data italiana all’Arena di Verona, il 5 Luglio.
Insomma, noi di IndieForBunnies vorremmo celebrare l’eccentrico artista londinese ripercorrendo i b-side della conclamata discografia di un gruppo che ha scritto la storia della musica degli anni Novanta – entrando nei cuori di molti di noi e dei nostri lettori.
Perchè ci piace così tanto parlare di B-side?
Beh, spesso i fan seriali instaurano un particolare rapporto affettivo con questi.
I b-side diventano preziosi dal momento in cui ti ci imbatti quando meno te l’aspetti; che sia comprando un CD soltanto per il singolo ““ per poi sobbalzare proprio laddove non si aveva posto la minima aspettativa ““ o che sia, come per destino, durante l’ascolto della discografia di una band in modalità casuale su fruizione liquida.
Talvolta, spuntano a rasserenare proprio quando si teme di aver già scavato sino al fondo del barile circa un artista di cui non si è ancora abbastanza sazi.
Sarà che i B-side ci piacciono tanto anche perchè si prestano a svelare il fulcro essenziale di una band; trattandosi, spesso, di canzoni nate in modo genuino e ultimate senza troppe forzature.
Nasce, così, un rapporto intimo con questi brani. In qualche modo, li senti tuoi al punto in cui sembrino scritti proprio per te.
Inoltre, risultano un valido espediente per distinguere il fan patito dall’ascoltatore perlopiù avventizio.
Bando ad ulteriori chiacchiere: che cominci la stilata dei Blur Side!
Bonus Track – Colours
2003, da “Colours”
Premetto che non si tratta propriamente di un b-side, bensì di una rarità .
“Colours” è un pezzo che nel 2003 venne diffuso limitatamente tramite una rivista per i fan (“Blurb”).
Una chitarra fangosa e un canto incurante sguazzano storditi dal petricore della pioggia di mezza stagione, coniando un brano dalla squisita leggerezza. La produzione acerba e trasandata le donerebbe il fascino di una demo.
Anni dopo, Albarn l’ha riproposto con un diverso arrangiamento ““ arpeggio acustico e canto femminile – per la colonna sonora del film “Broken” (2012).
Avere sul proprio scaffale un supporto fisico del brano è l’ambizione di parecchi collezionisti della band ““ che non hanno ancora non hanno digerito l’assenza di questo gioiello nel cofanetto “Blur 21”.
Oh well, I have to sing
There’s nothing left to do
10. Eine Kleine Lift Music
1995, da “Help”
In tedesco, sta per: “un po’ di musica da ascensore”.
Si tratta di una strumentale – melodicamente, piacevole e rilassante – pubblicata per la raccolta di beneficienza “Help” – alla quale contribuirono anche band come Oasis, Radiohead, Suede… .
Per molto tempo, è stato tenuto all’oscuro dal pubblico un arrangiamento cantato: “Hope You Find Your Suburbs”. Una versione intensificata da un canto ascendente e che si differenzia per lievi alterazioni strumentali – tra cui chitarra e basso in maggior risalto, violini rimasti asciutti e cori rimossi.
9. Peach
1993, da “For Tomorrow”
Le note di un organo a pompa effondono un’atmosfera calma e sognante – al punto che, quasi, ti lascia sfiorare il cielo col dito.
Se dovesse capitarvi di agiarvi sotto un pesco durante un crepuscolo estivo, abbandonatevi pure a questa melodia.
Fu tra le prescelte nella scaletta per il concerto dei b-side, all’Electric Ballroom (Camden) nel Settembre del 1999, che i Blur tennero in occasione del decimo anniversario della nascita della band. Quella fu, sinora, l’unica volta esibita in pubblico.
You got a gaping hole in your head
I’d let the birds nest there instead
8. The Man Who Left Himself
1995, da “Stereotypes”
Una dedica agli smarriti e agli incompresi, col titolo dal sapore di Smiths e dal finale tempestato da travolgenti distorsioni coxoniane.
Penso di avervi già convinto.
Don’t belong here,
your heart beats too fast
7. Dancehall
1997, da “Beetlebum”
Un valido esemplare della cupezza che pervade il disco omonimo del 1997: una produzione dalle palpabili influenze d’oltreoceano – soprattutto, ispirata dal lo-fi grezzo di gruppi come Pavement, Guided By Voices, Sebadoh e simili.
Il campionamento – operazione inedita da parte del gruppo – del brano “Suzy Creamcheese” (1967), dei Teddy And His Patches, conferisce ulteriore mistero, psichedelia e tetraggine al b-side di “Beetlebum”.
Got my pills and I’ve got my toys
With pin-up girls and pin-up boys
6. My Ark
1993, da “Chemical World”
Una Blur Side degna di nota: sulla veemenza dei riff di una chitarra ispirata, viene intonato un canto naufragato in stile “Blue Jeans”. Poi, col sound di “Modern Life Is Rubbish” si gioca facile.
Sarà , forse, il tipico vizio snob degli artisti di rinnegare alcuni propri lavori; eppure, il brano è finito per diventare una sorta di “figlio non riconosciuto”. Albarn ne disdegna la parabola ascendente che rimanda al rock californiano di fine anni Sessanta (alla Blue Cheer), Rowntree la percepisce come uno scarto di Lenny Kravitz e Coxon, semplicemente, la trova un po’ squallida.
Fortunatamente, i fan la pensano diversamente.
Please excuse my tendency to colour everything I tell you
But in my mind, there’s nothing that really ever holds us from the truth
5. Mace
1992, da “Popscene”
Era il 1989, i Blur stavano suonando nel Camden – aprendo ai Too Much Texas, un gruppo di Manchester dimenticato dal cielo – quando i furono mandati all’ospedale dai buttafuori del locale con dello spray al macis. Un ricordo spiacevole che, quantomeno, ha ispirato un brano squisito tanto quanto sottovalutato.
Quando hai una linea di basso trainante (e distorta) accompagnata da una chitarra irrefrenabilmente frizzantina… il gioco è fatto!
Venne suonata un’unica volta all’Electric Ballroom nel 1999 – proprio come “Peach”.
You used to know, but now you don’t
4. Black Book
2000, da “Music Is My Radar”
Le effervescenti sonorità novantine del Britpop sono, ormai, sul viale del tramonto, e lo smarrimento di fine secolo arriva anche per i Blur: opteranno per vibrazioni più ombrose e malinconiche.
Tra i brani scritti in quel periodo c’è “Black Book”: un groove lento, caldo e inteso – esercita un fascino completamente diverso, quasi spirituale, da tutte le altre canzoni presenti in questa lista.
Se fosse finita su “13”, il disco ne avrebbe senz’altro giovato.
Don’t give up on me Lord
Take my spirit higher
3. All Your Life
1997, da “Beetlebum”
Una ballata da radio che racconta del rapporto d’amore-odio di Albarn nei confronti della sua Inghilterra – che lo ha reso re un giorno, e giullare l’altro. Come qualcuno ben saprà , i Blur, da acclamata band indie, finirono per essere dipinti dai media e dalla critica come i nuovi zimbelli del pop.
Mentre scrivevano questo brano non lo sapevo ancora, ma il tempo avrebbe dato ragione proprio a loro.
L’ispirazione tratta da “Oh! You Pretty Things” di David Bowie sembra più che palese.
Oh England, my love, you lost me, made me look a fool
2. Mr. Briggs
1991, da “There’s No Other Way”
I nostri carissimi non la presero bene quando l’etichetta li impose la composizione di nuovi inediti – necessari alla pubblicazione dei vari singoli di “Leisure”. Fu così allora che decisero di farlo svincolandosi dalle pressioni esterne e in totale libertà : in piccole sale studio indipendenti e senza un produttore.
In queste sessioni, nasce “Mr. Briggs”; che la fidanzata dell’epoca di Graham Coxon stroncò, affermando che sembrasse uno scarto dei Pink Floyd – effettivamente, ha un nonsochè di Syd Barrett.
Il suono è animato dall’immancabile esuberanza coxoniana: la chitarra passa dal blues allo shoegaze.
Come ogni brano pop che si rispetti, ha un ritornello che si rispetti: senza quei cori che sfociano nell’etereo la canzone non sarebbe la stessa.
Ripescata dalla band nel 2012, dopo vent’anni, in occasione delle Maida Vale BBC Sessions.
Say goodbye,
Slowly drift away to somewhere
1. Young And Lovely
1993, da “Chemical World”
Nick Drake e Scott Walker erano i dischi nella quale Graham Coxon si crogiolava durante le sue sbornie notturne. Quegli ascolti sono stati d’ispirazione per un gioiello intriso di purezza pop: una deliziosa progressione di accordi, ritornello sfavillante, assolo nella fase intermediaria che fa da ciliegina sulla torta… . Insomma, un brano che ha ben poco da invidiare ai singoli scala classifiche per la quale i Blur sono noti al grande pubblico.
“Young and Lovely” ha vissuto una seconda giovinezza negli anni della rimpatriata, rappresentando uno dei momenti più solenni del tour del 2012.
Il motivo per la quale sia stata esclusa da “Modern Life Is Rubbish” resta un arcano. Tuttavia, non vi sorprenderà sapere che il nostro caro Albarn rimpiange la scelta: «Avrebbe dovuto essere sul disco. Invece, ci è finita la cazzo di “Turn It Up”. ».
«Proper pop music » direbbero nell’oltremanica.
You can get what you want
You’re so young and lovely