L’esistenza non è una corsa sfrenata verso il successo. Non può essere imprigionata in una stanza vuota, nè nei modelli artificiali, prodotti dalle teorie economiche neo-liberiste, secondo cui la felicità può provenire solamente dal potere, dalla ricchezza, dal controllo, dalla materia o dalla gratificazione, immediata e transitoria, dei propri sensi. Essa non è legata, in maniera semplicistica e superficiale, a ciò che la società giudica come un trionfo o un fallimento; essa è insita in noi e soprattutto non ci abbandona mai, è la flebile luce che ci consente, ogni volta, di ricominciare; la luce che non vive nè dei rimpianti del passato, nè, tantomeno, delle illusioni del futuro.
E come La Grazia Obliqua, essa vive del nostro caotico presente, è cosciente della polverizzazione di ogni relazione umana, ma, incurante delle violenze e delle umiliazioni subite, continua a cercare, anche attraverso il potere evocativo della musica, la pace della verità , la sua bellezza. Una bellezza che è al di là di tutte le mere e banali definizioni tanto care ai media, al di là di tutti gli inutili nomi con i quali tentiamo di giustificare le nostre vacue e fallaci suggestioni, quelle che ci impediscono di ritrovare i sentimenti più istintivi, più puri e primordiali che si agitano, da sempre, nel nostro inconscio, in un “oltre” nel quale la luce e l’ombra coesistono, convivono e condividono le medesime esperienze, le stesse narrazioni, le antiche storie d’amore, morte e magia.
Storie che ritornano nelle trame e nelle atmosfere sonore della band romana, nei passaggi più crepuscolari ed estranianti, nelle accattivanti ambientazioni di matrice dark, nell’affascinante estetica gotica, negli improvvisi, glaciali bagliori elettronici che si contrappongono ai momenti più caldi, riflessivi e folkeggianti. Tutto ciò esprime, in fondo, quella che è la naturale esigenza interiore a liberarci delle stratificazioni virtuali che tentano di canalizzare e sfruttare l’energia delle nostre passioni, costringendoci, come se fossimo solo degli automi, ad eseguire, sempre e soltanto, le medesime righe di codice, imprigionati in un algoritmo ostile e disumano, il cui unico obiettivo è impedirci di r-esistere e, di conseguenza, obbligarci ad essere consumati dall’eterno rogo del rancore, dell’odio, della diffidenza e della follia.