Destroyer non ha certo bisogno di presentazioni: il progetto di Dan Bejar, ex componente dei New Pornographers, è iniziato nell’ormai lontano 1995. Sono ben dodici gli album al suo attivo e poche settimane fa ““ il 25 marzo – è arrivato anche “Labyrinthitis”, che lo ha visto pubblicare per la prima volta per la Bella Union qui in Europa. Costruito durante il lockdown insieme al suo storico collaboratore John Collins, il nuovo LP lo ha anche portato a sperimentare in più di un’occasione con suoni dancey per lui decisamente inusuali. Noi di Indieforbunnies.com abbiamo avuto l’occasione di contattare il gentilissimo musicista di Vancouver via Zoom pochi giorni prima dell’uscita del disco per farci raccontare maggiori dettagli sulla sua esperienza di registrazione separato dagli altri componenti della sua band, sulle sue influenze, sul prossimo tour e su tanto altro. Ecco cosa ci ha detto:

Ciao Daniel, il tuo nuovo album, “Labyrinthitis”, uscirà  tra pochi giorni: come ti senti? Quali sono le tue aspettative sul nuovo disco?
E’ strano poter rientrare nel mondo. Tra cinque o sei settimane saliremo su un bus e andremo in tour in giro per gli Stati Uniti. Sembra essere in un altro mondo, in un universo alternativo. E’ qualcosa di così lontano dalle mie esperienze degli ultimi due anni. Sono felice, ma sono anche nervoso. Il nuovo disco è strano: non sono stato insieme alla mia band per alcuni anni e abbiamo provato per quattro settimane in vista dei concerti e sono curioso di sentire come sarà  il nostro suono.

Credo che sarà  un’esperienza nuova e ristoratrice per tutti voi. Che ne pensi?
Penso che tu abbia ragione. Non ho suonato insieme ad altre persone per così tanto tempo che sembrerà  una cosa nuova e strana. Sebbene la maggior parte della band abbia suonato anche sul disco, ognuno ha registrato le sue parti da solo nella sua cameretta in varie parti del nord America, quindi è difficile capire come suoneranno le canzoni live.

Sì, capisco, ma sono sicuro che funzioneranno bene.
Sì, lo penso anch’io. Vedremo cosa succederà .

Non vedo l’ora di rivederti anche qui in Europa.
Sì, mi piace molto suonare in Europa e non vedo l’ora di tornare anche in Italia.

Ti ricordi dei tuoi concerti all’Hana-Bi sulla spiaggia a Marina di Ravenna?
Sì, è un posto fantastico dove suonare.

Posso chiederti da dove proviene il titolo del tuo nuovo disco, “Labyrinthitis”?
E’ una parola che ho letto da qualche parte. Ancor prima di sapere che cosa significasse, il suo suono la fa sembrare una parola inventata o immaginaria, sebbene abbia un significato vero. Sembra una specie di malattia magica. Inoltre mi piace l’idea di disorientamento, l’idea di sentirsi persi all’interno di qualcosa. E’ una condizione, un malessere che puo’ continuare ad accadere. Sembra quasi di essere stati puniti dal suono. Credo che ciò mi sia accaduto più volte, mentre facevo questo disco.

Hai lavorato insieme a John Collins durante il lockdown e ovviamente eravate in due luoghi differenti.
Sì, abbiamo potuto incontrarci solo per nelle ultime due settimane, mentre stavamo preparando il disco. Abbiamo mixato il disco: solo alla fine di tutto il processo sono andato dove si trovava lui, in un’isola non molto lontano da dove abito io. Prima di allora abbiamo sempre lavorato separati perchè non ci era permesso viaggiare.

E’ stata la prima volta che hai lavorato in questa maniera? Come ti sei sentito in quei momenti?
E’ strano perchè, per il disco precedente, “How We Met”, su cui ho lavorato molto con John, il processo è stato piuttosto simile: abbiamo lavorato separati, non l’ho incontrato quasi mai fino alla fine e per qualche motivo era stata una bella nuova esperienza. Mi era piaciuto questo processo, Penso che questa volta non avessimo scelta perchè le circostanze l’hanno dettato e quindi per me è stato più stressante e meno piacevole. Ci sono stati momenti in cui mi sarebbe piaciuto essere nella stessa stanza con lui per poter dialogare sulla musica e sul sound, ma non era possibile e ciò era frustrante. Forse è per questo che il disco suona più strano e selvaggio.

Speriamo che per il prossimo album sia possibile lavorare nella stessa stanza.
Sì, spero che si potrà  lavorare insieme ad altre persone nella stessa stanza: fare musica insieme sono sicuro che ci regalerà  delle belle sensazioni.

Hai appena citato “How We Met”, che era uscito nel gennaio del 2020: hai avuto la possibilità  di portare in tour questo disco, almeno per qualche momento?
Sì, siamo stati fortunati. Siamo riusciti a fare circa tre settimane di tour negli Stati Uniti. L’ultima settimana del tour è stata cancellata e l’ultimo nostro concerto è stato il 12 o il 13 marzo 2020. Il nostro ultimo concerto è stato a Nashville, che è esattamente dalla parte opposta del continente rispetto a dove abito io, ovvero a Vancouver. Siamo saliti su un bus e abbiamo cercato di raggiungere casa il più velocemente possibile perchè non sapevamo quando i confini sarebbero stati chiusi. C’erano anche un paio di americani con noi e non sapevamo se sarebbero potuti entrare nel nostro paese. Siamo stati più fortunati rispetto alla altre band che hanno fatto uscire i loro album nel 2020: siamo riusciti a parlare del nostro disco e a suonarlo dal vivo, ma ““ come tutti gli altri ““ abbiamo poi dovuto cancellare il resto del tour e tutto il resto che sarebbe dovuto succedere.

Ti posso chiedere quando hai deciso di iniziare a lavorare su del nuovo materiale?
E’ successo abbastanza presto. Dovevamo venire in Europa in primavera e poi saremmo dovuti tornare anche in autunno, avremmo dovuto fare altre cose e invece eravamo a casa: per me iniziare a scrivere è stata una sorpresa. Di solito prendo delle pause più lunghe. Inoltre ho ricevuto un messaggio da John, che non mi aspettavo di sentire: lui era andato ad abitare su un’isola e aveva iniziato una famiglia. Mi ha scritto che voleva lavorare su qualcosa di nuovo e gli ho risposto che avevo iniziato a scrivere una canzone e che gli avrei mandato qualcosa. Questa è stata la prima scintilla. Ho parlato con lui e abbiamo iniziato a pensare di fare un disco techno. Alla fine non l’abbiamo fatto, ma la prima idea era quella di fare un disco house. Questa idea è caduta molto velocemente.

Tra le tue influenze musicali per il nuovo LP ci sono, oltre alla disco, anche Art Of Noise e New Order. Cosa ci puoi dire delle tue principali influenze?
E’ difficile da dire perchè non suona come la musica che ascolto di solito. Penso che ci sia un approccio alle produzioni di Trevor Horn sia negli Art Of Noise che in altre cose che ha fatto. Ci sono degli arrangiamenti caricaturali. Credo che abbiamo pensato a un certo stile di musica industrial-pop della fine degli anni ’80 o magari dell’inizio degli anni ’90. Ci sono anche molte chitarre sul disco e il drumming di Josh (Wells) suona molto bene. Per me è strano, le canzoni non sembrano di Destroyer. Credo che siano canzoni uscite dal nulla. Suonano molto ’80s e mi ricordano la musica che mi piaceva quando ero un teenager. Inoltre i New Order sono sempre stati una grande influenza per me. Sono loro fan da almeno trentacinque anni, cioè da molto prima che iniziassi a fare musica.

Il primo singolo che hai fatto uscire prima del disco si chiama “Tintoretto, It’s For You”. Posso chiederti da dove viene questo riferimento al famoso pittore veneziano?
Non so molto di arte. E’ un pittore piuttosto oscuro della sua era. Mi ricordo di aver letto che faceva parte di una scuola chiamata manierismo. All’inizio di questo progetto definivo Destroyer come qualcosa di manierista. Questa canzone parla di un artista che viene visitato dalla morte e dalla Grande Falciatrice, che è il simbolo della morte. “Non importa quanto grande ““ o piccolo ““ il tuo lavoro sia stato, ora è giunto per te il momento di venire con me”, è la morte che sta bussando alla tua porta. E’ una canzone strana, è uscita dal nulla. Solo un anno dopo ho scoperto che Tintoretto è anche il nome della publishing company di David Bowie, ma prima non lo sapevo. Bowie possedeva alcuni dei suoi quadri più famosi.

Hai partecipato, per la prima volta, anche alla realizzazione del video di “Tintoretto, It’s For You”: ci puoi raccontare come sei stato coinvolto in questo processo? Che cosa ne pensi di questa esperienza, che probabilmente era nuova per te?
Era una cosa nuova per me. E’ stato divertente perchè volevamo fare qualcosa molto tranquillo e molto piccolo. Non avevamo un budget a disposizione. Eravamo solo io e i miei amici. Siamo andati in giro per il mio quartiere a Vancouver e poi l’abbiamo messo insieme. Abbiamo registrato alla notte, volevamo che risultasse buio. Non volevamo sembrasse un film dell’orrore, ma che ci fosse del buio. E’ stato un esperimento molto divertente.

Pensi che lo rifarai ancora in futuro?
Credo che prenderò una pausa, ma magari in futuro. Non prendo troppo seriamente i video delle canzoni, invece credo che il cinema sia la principale forma di arte. Non voglio coinvolgere i video musicali con il cinema.

In passato hai mai scritto musica per dei film o per qualche serie TV?
Non l’ho mai detto a nessuno, ma lo dico a te ora: durante il lockdown ho cercato di scrivere qualcosa, ho provato a scrivere una sceneggiatura. L’ho scritta molto in fretta. E’ terribile però! (ridiamo) Magari proverò un’altra volta e avrò più fortuna. Devo essere chiuso in casa perchè ho un’etica di scrittura poco buona. Di solito scrivo le cose quando mi escono fuori.

Tornando al tuo disco, posso chiederti delle canzoni? Quali sono state le tue ispirazioni, mentre stavi scrivendo i tuoi testi? Quali significati hanno?
Non lo so veramente, il mio processo è molto inconscio e non è cambiato molto negli ultimi venticinque anni. Nei primi giorni di questo progetto scrivevo molto su un libro, poi suonavo le linee di chitarra e aggiungevo i testi dentro alle canzoni, dentro gli accordi. Ora è l’opposto: scrivo le parole e canto la canzone a cappella dall’inizio fino alla fine, poi magari aggiungo un accordo o penso a qualche arrangiamento, ma ho già  tutto nella mia testa prima ancora di incominciare a pensare alla musica. Parlando delle ispirazioni, ti dico cose che mi piacciono cose che mi sembrano misteriose, cose che sono romantiche o tragiche. Credo che su questo disco ci siano molti scherzi, più degli altri dischi di Destroyer forse perchè sto per arrivare ai cinquanta anni e non metto più nessuna censura, non ci sono più filtri. C’è molto materiale divertente se lo compariamo agli altri album di Destroyer. Ci sono alcune canzoni piuttosto scure, ma secondo me contengono molte gag o scherzi.

Alla fine di “June” ci sono dei beats e delle influenze disco e tu inizi uno spoken-word o un rap. Inoltre ci sono dei ritmi folli che mi sembrano poco usuali per la tua musica. Ci puoi dire qualcosa di più riguardo a questa tua scelta?
E’ una canzone strana. Quando ho iniziato a lavorare per la prima volta su questa canzone insieme a John, era una canzone di soli tre minuti, c’era solo la prima metà . John ha creato dal nulla questi tre minuti extra che suonano folli e me ne sono innamorato. Qualcosa doveva succedere con quei minuti, non poteva essere solo una seconda metà  strumentale. Voleva aggiungere un rap a cappella che aveva trovato su Youtube e mi ha detto: “Ho fatto questo, cosa ne pensi?”. Sapevo che avrei dovuto fare qualcosa e ho provato a fare uno spoken-word. Ero parecchio nervoso perchè non è qualcosa che faccio spesso e ti espone molto di più, ma ho pensato ai Doors e a Jim Morrison e ho trovato ispirazione. (ridiamo) Ho provato alcune volte e alla fine John ha usato il primo tentativo. E’ un pezzo folle. Sono stato nervoso per parecchio tempo a causa di questa canzone, ma in un certo senso è stata liberatoria. Non dovevo pensare alle melodie.

E’ stato divertente per te?
All’inizio non è stato affatto divertente, ma poi è stata la cosa più divertente che abbia mai fatto mentre registravo un disco.

L’ultima canzone del disco, chiamata “The Last Song”, è un brano molto soft, una canzone folk. Come mai hai deciso di chiudere il tuo disco in questo modo?
E’ stata una decisione dell’ultimo minuto. L’abbiamo preparata due giorni prima di consegnare il disco. E’ anche l’ultima canzone che ho scritto ed è per questo che l’ho chiamata “The Last Song”, oltre che per il fatto che è la canzone conclusiva dell’album. Ha influenze degli anni ’90. Era da tanto che non usavo la chitarra. E’ un momento in cui puoi prendere fiato, visti i ritmi delle canzoni precedenti. Sono dance, folli, caotiche. Questa canzone sembrava adatta per chiudere questo disco.

Tornerai in Europa durante l’estate.
In estate solo per una settimana, ma poi farò un tour più lungo a settembre.

Pensi che ci sarà  qualche data qui in Italia, se lo puoi dire?
Non lo so ancora, ma spero che nel tour più lungo ci saranno almeno una o due date italiane. Penso che potrebbe essere all’inizio di ottobre, abbiamo ancora qualche buco nel nostro programma, ma ancora non te lo so dire.

Il tuo nuovo album qui in Europa uscirà  per Bella Union. Che cosa ne pensi di questa storica label? Come ti trovi a lavorare con loro?
Mi piace molto questa label. Non ho ancora incontrato nessuno di persona, finora ci siamo solo scritti delle mail, ma non vedo l’ora di andare a Londra e conoscere le persone.

Ti posso chiedere dei New Pornographers? C’è qualche possibilità  di rivederti insieme a loro?
Certo. E’ una band con cui non ho più suonato negli ultimi sette anni. Recentemente hanno suonato alcuni concerti in occasione del ventesimo anniversario del loro esordio “Mass Romantic” e ho suonato con loro in alcuni show. Era la prima volta dal 2014. Per quanto riguarda, invece, fare dischi con loro o andare in qualche tour insieme a loro, non credo che succederà . Comunque siamo molto amici e ci sentiamo sempre. Abitiamo a molti chilometri di distanza e non ci vediamo molto spesso e, suonare con loro in quelli show, è stata una bella occasione per stare insieme.

Grazie mille per la tua disponibilità  e un’ultima domanda: puoi scegliere una tua canzone, vecchia o nuova, da usare come soundtrack di questa intervista?
Direi “June”.

Ottima scelta. Spero di vederti in autunno qui in Italia.
Sì, incrociamo le dita.

Photo Credit: Nicolas Bragg