Continuano a sorprendere i C’mon Tigre, un progetto incredibilmente italiano e per certi versi misterioso, che sulle idee di due musicisti marchigiani appare in continua evoluzione, mostrandosi come un collettivo di artisti che variano da un progetto all’altro ma sempre mantenendo alto il livello qualitativo.
Chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo sa di cosa parlo, chi invece, per ora, non ha avuto occasione può deliziarsi con questo nuovo lavoro che pur essendo concettualmente complesso ha la capacità di essere anche immediato.
Con l’ascolto cresce indubbiamente, ma già al primo approccio riesce a catturare, con la sua sonorità tipicamente nord africana che questa volta lascia spazio ad una strumentazione acustica e anche a sonorità sud americane, continuando quell’idea di riportare nell’album l’idea del viaggio, attraverso un sound che nell’unione di elettronica, influenze jazz e ottima strumentazione sfiora il capolavoro.
L’inizio dell’album è folgorante, “Deserving my devotion” è una intro che si abbina a “Twist into any shape” in maniera perfetta, loop, ritmi afro e fiati jazz che ipnotizzano, uscito come singolo è stato accompagnato da un divertente video con le creazioni di Donato Sansone, effettuate con la tecnica del collage video.
“Kids are electric” vede la partecipazione di Gianluca Petrella, pluripremiato trombonista di fama internazionale, e una sezione ritmica che richiama il Forró, musica tradizionale originaria del nord est del Brasile, caratterizzata da decisi riferimenti alla tecnica percussiva africana.
“No one you know” è cantata da Xenia Rubinos, talentuosa compositrice e polistrumentista, che dona la sua voce potente e caratteristica, capace di spaziare dal soul al jazz con naturalezza, in un brano in cui si alternato loop in una costruzione complessa ma decisamente riuscita.
Anche quando i ritmi vengono rallentati l’album non perde la capacità di catturare l’attenzione, come avviene per “Migrants” nel quale aleggia una certa tensione drammatica, tra registrazioni reali ed elettroniche la band mette in musica e focalizza la collaborazione con il fotoreporter Paolo Pellegrin che trova compiuta espressione nell’imperdibile vinile in edizione speciale contenente i suoi scatti in un libro di sessanta pagine, o come troviamo in “La mer et l’amour” tra elettronica e sound del Mediterraneo.
L’album si conclude con “Flowers in my spoon” in cui è presente Mick Jenkins, che rappa su una base di fiati jazz che ricordano il David Bowie di “Blackstar”, e ” Sleeping beauties” il brano più sperimentale dell’album con la partecipazione del sassofonista Colin Stetson che da un enorme contributo al pezzo.
C’mon Tigre è un progetto che nasce in Italia con chiare caratteristiche internazionali, la cosa che sorprende maggiormente è come il lavoro progettuale e produttivo che sta alla base di questo lavoro si sviluppi in un album assolutamente gradevole anche ad un ascolto meno attento alle sfumature, un insieme di idee che che non sbaglia nel momento in cui si tratta di trasformarle in un lavoro che sia credibile, omogeneo e sofisticato: un lavoro che, anche e soprattutto live, saprà donare emozioni indimenticabili.
Credit Foto: Margherita Caprilli