Ho un figlio molto piccolo a cui mi piace “cantare” (le virgolette sono d’obbligo) brani tratti da un vasto repertorio, che non tengono conto solo di ninne nanne (pur fondamentali!) et similia.
Mi piace pensare che sto preparando un terreno fertile per quando potrà scegliersi la sua musica preferita, eppure mi sentirei in difficoltà se dovessi trovarmi a spiegargli chi sono e cosa cantano i Maisie, nonostante in catalogo abbiano anche diversi episodi orecchiabili e dalla spiccata melodia.
Molto probabilmente sbrigherei la questione dicendogli che in realtà essi sono degli alieni, piombati sulla Terra e mischiatisi tra noi umani per studiarci, osservarci e infine metterci alla berlina, fissando l’obiettivo sui nostri più deleteri tic, sulle nevrosi, le solide certezze – basate spesso e volentieri però su teorie bizzarre – , e su una mentalità così poco aperta ad accogliere ciò che è estraneo da noi e che inevitabilmente ci spaventa.
D’altronde, anche per chi frequenta l’affollata galassia underground, il fenomeno siculo-lombardo capitanato da Alberto Scotti e Cinzia La Fauci risulta quanto meno di difficile catalogazione, sfuggendo da sempre a facili quanto comode etichette, così propensi come sono i due ad osare, sperimentare e spingersi più in là , sia musicalmente che concettualmente.
Certi orizzonti creativi in tal senso sembravano già ampiamente perlustrati nel precedente “Maledette Rockstar”, sempre poco consono a definizioni circoscritte ma per lo meno poggiato su una concreta idea di fondo, ossia fungere come da detto da speciale “osservatorio umano”.
Solo tre anni sono intercorsi da allora, un tempo forse sufficientemente lungo per i gruppi canonici ma non certo per chi, come loro, preferisce prendersi tutto il necessario per sviluppare un’idea e renderla il più possibile incline alle proprie corde.
Questi anni che, come ben abbiamo vissuto sulla pelle, hanno compreso un sacco di eventi che hanno rivoluzionato la nostra esistenza, mettendoci a dura prova, ed è oramai lampante il fatto che i buoni propositi di vicinanza, i tanti benauguranti “andrà tutto bene” non hanno, ahimè, finito per migliorarci a livello personale, ne’ tanto meno nelle relazioni, dopo mesi e mesi di lontananza sociale e assenza di contatti “veri”.
Tanta gente al contrario ha finito per odiarsi, diffidare dell’altro, fino a dividersi in agguerrite fazioni su temi divenuti preponderanti, come la salute, i vaccini e, ampliando il raggio, le strategie sanitarie ma non solo. Ci siamo ritrovati da allenatori della Nazionale a tuttologi in un batter d’occhio, e chi meglio dei Maisie poteva racchiudere in un progetto artistico tutto questo (mal) sentire?
Ecco quindi che i Nostri hanno inscenato, per bocca e mente di tale Luigi La Rocca, un flusso di coscienza inarrestabile che sembrava a tratti un instancabile copia e incolla di svariati post e commenti che quotidianamente inondano le bacheche dei social network. La Rocca, infatti, pensa e dice senza filtri tutto quello che gli frulla in testa, e in modo piuttosto spudorato anche l’esatto contrario di quanto appena sostenuto (ad esempio sulla questione stranieri: si vedano le tracce “Io dico no a pagare le tasse per mantenere gli stranieri!” e “Sugli stranieri sto cambiando completamente idea”), in un’alternanza (e convivenza) di pareri da far perdere la testa (o le staffe, perchè è facile associare tali pensieri al più becero e gretto degli esseri umani).
Il suo è un diario che sommariamente potrebbe essere interpretato come una raccolta di sfoghi e frustrazioni (anche perchè sappiamo bene come sia difficile cambiare la propria idea in merito a certi temi: uno degli episodi più emblematici è il surreale dialogo di “Oggi un comunista su Facebook”, dove gli interlocutori si trincerano ognuno dietro le loro posizioni), ma che più similmente trasmette una particolare visione del mondo molto limitata; nel mirino a un certo punto finisce pure Andrea, suo fratello musicista aspramente criticato, il quale farà una brutta fine.
In realtà mentre scorre inarrestabile questo resoconto dal quale verrebbe scontato voler prendere le distanze, separando il confine tra buoni e cattivi, ci si rende conto di come questo personaggio di fantasia, il quale assume le sembianze di megafono del sentire comune populista, sia in realtà un “povero cristo”, di quelli boccaloni, che credono a tutto e che magari probabilmente non saprebbero tradurre nei fatti tanta violenza verbale, limitandosi a lasciarsi trascinare dall’ondata emotiva del momento, da ciò che in genere pensa attualmente quella gente che spesso non si fa domande (o se se le fa, cerca risposte su Internet e non nella stampa “di regime”), senza mettere in discussione ciò che sente dal politico di turno.
E sì, l’avrete capito anche solo a leggere la tracklist, ci sono tutti i luoghi comuni possibili tra le pieghe dei 62 pezzi… oddio, non proprio tra le pieghe, visto che le tesi sono dichiarate in maniera veemente ed esplicita, con toni assolutamente perentori che ci giungono per lo meno filtrati dal vivace canto dell’irriverente folletto Cinzia.
Certo, inoltrarsi in un viaggio che sembra farti sprofondare in un abisso di dicerie e di un modo di pensare che non ammette interlocutori, potrebbe scoraggiare anche il più volenteroso degli ascoltatori ma il pregio dei Maisie sta nel riuscire a dare una forma musicale entusiasmante a tutte le parole sputate fuori da La Rocca, cosicchè è impossibile non rimanere affascinati da soluzioni sonore ogni volta differenti, che mostrano un’attitudine e, perchè no?, una maestria tecnica rara, in tempi odierni in cui ciò che si va cercando è il più delle volte la canzoncina pop, tanto perfetta a livello formale quanto innocua nei contenuti.
Che poi, come detto, quando vogliono Scotti e compagni (il parterre di ospiti e amici coinvolti è al solito ricco e multiforme, a creare un ensemble di indiscutibile talento) sanno anche realizzare deliziosi affreschi pop – visto che nel loro background è andato a confluire in buona parte anche una cospicua fetta di torta dedicata alla musica leggera -, ma è soprattutto un irresistibile calderone musicale quello che arriva copioso alla nostre orecchie attente, dove si possono riconoscere elementi presi in prestito dal jazz, dal prog, dal folk, dal rock, e dall’esperienza di band sperimentali ed elettroniche.
Insomma, chi più ne ha, più ne metta, e guai a chiedere loro una cosa del genere, perchè poi succede che tutto questo riescono a realizzarlo per davvero e farcelo stare in un disco!
Il rovescio della medaglia è talora un’inevitabile dispersione, con la presenza dei cosiddetti riempitivi o di concetti reiterati, ma che probabilmente (anzi, sicuramente, perchè il disco lo hanno fatto loro) così non sono percepiti (e in origine non erano stati concepiti come tali) dai titolari del progetto.
Vien da pensare che Syd Barrett, a cui i Nostri devono il nome (“Maisie” è un brano contenuto nell’omonimo album del primo geniale leader dei Pink Floyd) e che, assieme a Frank Zappa, sembra proprio aleggiare in questo mastodontico lavoro, sarebbe fiero di questi ragazzacci del pop nostrano (di Luigi La Rocca sicuramente no!).
Quella dei Maisie è una follia lucida, la quale viene mediata al solito con una giusta dose di ironia, mai come in questo caso necessaria, per poter interiorizzare un disco che non suona esagerato definire come specchio fedele del proprio tempo.
ps: ulteriore nota di merito per l’accuratezza di packaging e libretto.