Gente di parola i Röyksopp: all’uscita di “The Inevitable End” nel 2014 avevano dichiarato che sarebbe stato il loro ultimo album tradizionale, una fine che diventava al contempo nuovo inizio. Sono inevitabilmente passati otto anni a suon di remix e collaborazioni prima che il duo norvegese riuscisse a dar forma all’idea di un disco in cui musica e immagini vanno di pari passo. Dieci brani, altrettanti visuals e manufatti realizzati dall’artista australiano Jonathan Zewada, diversi cortometraggi opera di Martin De Thurah, Christian Holm-Glad, Adam Bonke, Andreas Nilsson, Martin Furze, Martin Werner, Ida Andreasen, Marc Reisbig e Kasper Häggström.
“Profound Mysteries” è un universo multimediale distopico e inquietante, dal ritmo a volte incalzante e claustrofobico altre intenso e riflessivo. Un progetto ambizioso disponibile in versione integrale e non tagliata su Youtube in tutti i suoi cinquantacinque avvolgenti minuti ed è proprio questa la forma migliore per sperimentare l’effetto che fa. La musica nel new world dei Röyksopp è colonna sonora portante, mai in secondo piano, mai trascurata. Sono sempre piaciute le voci femminili a Svein Berge e Torbjørn Brundtland e anche questa volta ne arruolano diverse: Alison Goldfrapp, Susanne Sundfør, Astrid S, Beki Mari, la stellina Pixx (quella di “The Age Of Anxiety” e “Small Mercies” tanto per dire) regine di cuori in un susseguirsi di arte e momenti ipnotici.
Elettronica complessa e contaminata in puro stile Röyksopp che sembrano tornare alle origini interrogandosi su misteri e solitudini. Ogni pezzo funziona preso singolarmente non solo inserito nel complesso sistema ideato dai due norvegesi, sempre più convinti che la musica sia un’esperienza immersiva da sperimentare con più sensi possibile. “Profound Mysteries” è l’album che i Daft Punk avrebbero potuto fare se non si fossero sciolti, lasciando alla premiata ditta Berge & Brundtland il compito di esplorare frontiere vecchie e nuove.
Credit Foto: Stian Andersen