La nostra deliziosa Melody Prochet non ci aveva affatto convinto nel precedente album, troppo lungo e pure pasticciato non poco. Bisognava ritrovare il filo smarrito, sopratutto puntando su una maggiore linearità in fase di scrittura, semplificando le cose, invece che renderle più ingarbugliate. Sembra che la missione sia compiuta.
Il suono si è fatto meno denso e la doverosa componente psichedelica (marchio di fabbrica) si mescola con trame più leggere e invitanti, che non appesantiscono l’ascolto, ma anzi lo favoriscono e lo rendono gradevole. Il collaboratore che la segue in questa nuova avventura è lo stesso dell’album precedente, Reine Fiske dei Dungen, ma grazie a Dio, stavolta, le spirali barocche presenti nel vecchio disco non sono qui a soffocarci.
Dove andiamo a parare? Beh, nel passatismo che guarda con affetto agli anni ’60 più ariosi, sempre accattivanti e meno dream di quello che si possa credere, che in più hanno una bella spinta ritmica che sostiene piacevolmente sia trame sinuose e arrangiate sempre con buon gusto (ma senza mai eccedere) sia, naturalmente, la candida voce della fanciulla che si muove tra inglese e francese.
La morbidezza sensuale di “The Hypnotist”, l’incalzante groove di “Looking Backward”, il sitar che da quel tocco indiano in “Pyramids In The Clouds” (mentre pure una chitarra psych fa ottimamente capolino e anche un flauto dai sapori etnici), la melodia accattivante di “Where The Water Clears The Illusion” (e ancora la chitarra acida che arriva nel finale) e i 6 minuti (che partono bucolici e poi si fanno quasi cinematografici) di “Alma_The Voyage” sono i punti alti di un disco che ci riconcilia con la fanciulla.
Dinamico, rassicurante e leggero al punto giusto, il lavoro della parigina scorre via in modo molto piacevole e ci fa rialzare il pollice, dopo le delusioni cocenti del lavoro precedente.
Credit Foto: Diane Sagnier