“If you want another world,

I will be another world for you”

Potrebbe bastare la serie di promesse di “Always together with you”, potrebbe bastare solo il desiderio universale di unione che permea questo meraviglioso incipit, una cerimonia d’apertura, un invito alla seduzione della musica più cara a Jason Pierce, che condensa in 6 minuti tutto il pensiero  Spiritualized, una celebrazione a suon di una melodia da Beach Boys in acido, della coralità  di un rock maturo e figlio di una passione e aderenza al sogno mai sopita, una canzone da colonna sonora dello sfogliare l’album dei nostri migliori momenti, sempre insieme con loro.

“Everything was beautiful” è la pastiglia giusta, da prendere dopo aver finito quelle di 25 anni fa di “Ladies and gentlemen…” di cui ricorda anche lo stesso stratagemma nella copertina con una scatola di medicinale dischiusa, che ci aiuta a riconnetterci con la storia del rock così come lo conoscevamo, in un panteon che l’ex Spacemen 3 ha da sempre riempito con tutte le derivazioni Stones, gli amati Stooges, qui molto pensiero e trame Lou Reed, gospel bianco, country ballad , un cuore suolful che la pandemia ha fatto smettere di battere per un paio di terribili anni, ma che nelle stanze chiuse dei nostri isolamenti non ha mai smesso di pulsare, anzi, è sempre stato lì, come un simulacro, una specie di mausoleo vivo a cui ritornare, a cui far riferimento ora che ci si allontana da questo buco della storia.

Pierce ancora una volta riprende  in mano tutto questo percorso oramai pluridecennale, dando una dimensione ancor più coraggiosamente enfatica alle caratteristiche essenziali del suo sound in un album compatto, breve e denso, sette canzoni sette, che restituiscono una sintonia col piacere della musica assoluto, di intensità  quasi pari al suo capolavoro citato sopra e difficilmente rintracciabile in cose uscite quest’ anno per dire, perchè “Everything was beautiful” è un disco che si pone appunto come restituzione, offre molto più di quanto gli viene chiesto, inonda chi lo ascolta della sensazione di godere di un gusto, del gusto ardente della connessione con la furia e la dolcezza di queste note che rimangono l’essenza vera della musica che adoriamo, senza se e senza ma.

Questa forse inconsapevole e difficile impresa viene affrontata incardinando le canzoni in una struttura ancor più corale, facendo emergere come già  successo nell’ultimo buono “And nothing hurt” l’elemento orchestrale del sound, di una band consolidata e rafforzata dall’apporto dei svariati contributi musicali ingaggiati nella produzione,   dando corpo ad un suono che nei numerosi classici saliscendi Spiritualized fa vibrare la flebile voce del leader all’interno di un wall of sound caldo , diretto, ma allo stesso tempo profondo e capace di svelare ascolto dopo ascolto i numerosi dettagli che si insinuano nelle composizioni (le nacchere in “Always together with you”, la chitarra acida in “Best Thing You Never Had”, il treno in “The Mainline Song” ma molto altro), riuscendo nell’impresa di sviluppare una sinuosa onda di suono che accompagna come un flusso l’evolvere delle canzoni ,che sembrano come dei percorsi, nascono e si spengono come se avessero vita propria, vedasi per esempio il lunghissimo intro di una cosa come “The Mainline Song” o l’elegiaca “The A Song” con un tema che ricorda certe sonorità  dei Godspeed You!Black Emperor , senza in generale soffermarsi sulla immediatezza della struttura ma concedendo ai musicisti e a noi ascoltatori il tempo necessario per interiorizzare questi suoni così intensi, riuscendo a dare un’anima, quasi un soggetto vitale ai brani, che vivono di un proprio tempo di esistenza come la finale “I’m coming home again”, quasi 10 minuti di una soul ballad che finisce in un’estasi di cori gospel da urlo.

Un disco nato e sviluppato su un’idea semplice e universale, che esce sincero e decisamente appagante, che racchiude dentro di sè la cura e la grazia di un artista vero,   che conosce la sua strada e ci offre un posto caro dove stare, che scrive, suona e conduce la sua band in canzoni fatte con la sacra volontà  di sorprenderci con la bellezza della forza delle emozioni: un gesto romantico, puro, una sintonia da applausi,   che si immagina avrà    un’esplosione anche maggiore nella dimensione live, benchè l’esperienza di ascolto di questo disco è forse la cosa più vicina in assoluto alle vibrazioni da palco che Pierce ci potesse donare.

“If you want a satellite,

I wiil be a satellite for you”

Credit Foto: Sarah Piantadosi