“Andrew ha iniziato a mandarmi questi componimenti bizzarri. Ho pensato che se ci fosse un momento per fare roba strana, quel momento è adesso. E se non dovesse piacere, allora potremmo dare la colpa al Covid, no?”
Dopo trent’anni nella scena musicale, non è ancora tempo di fermarsi per un’icona, nonchè tesoro nazionale dell’Inghilterra, come Liam Gallagher.
Non ora, nel bel mezzo del boato assordante dei suoi «parka monkeys » – vocabolo coniato dal fratello Noel, usato, con toni dispregiativi, nei confronti degli apostoli di Liam.
Non ora, che dopo un biennio di confusione smarrimento, si ha bisogno di musica che dia una scossa e indichi la via.
Il terzo album è stato preannunciato da Ourkid come sperimentale: una definizione rivelatasi esagerata e fuorviante. D’altronde, si sa, l’ex Oasis non è mica noto per essere un eclettico (gli si vuole bene comunque, chiariamolo). Tuttavia, si tratta del disco più azzardato, sfaccettato e variegato mai cantato dal principe del Britpop.
Pare si sia affidato alla creatività di Andrew Wyatt – produttore alla quale si deve molta della qualità dei suoi tre dischi solisti – che ha indotto il cantante mancuniano in una via che vada oltre il classico rock pop di una vita ““ senza sopprimere la sua vena gallagheriana e neanche accantonare in scantinato le influenze delle sue band di formazione: The Beatles, Rolling Stones, The Who, Stone Roses”… .
Ci verrà subito mozzato il fiato col coro fanciullesco alla “You Can’t Get Always Get What You Want”. Si tratta del vagabondare agrodolce di “More Power”: si andrà alle lunghe con un’acustica che, poi, sul finale sfocerà in un crescendo vorticoso.
E dopo aver ascoltato il funk di “Diamond In The Dark”, non vi concediamo per nulla al mondo di affermare che si tratti dell’ennesimo disco dove si tenta di riscrivere “Don’t Look Back In Anger” – no, neanche agli orecchi più schizzinosi al risentito.
“Don’t Go Halfway” – no, non ha nulla a che vedere con “Don’t Go Away” – è un brano che ricorda Ian Brown solista che, seppur contribuisca al fervore del disco, ha ben poco di sorprendente.
Il brano omonimo – dal profumo di Rolling Stones – ci posa le mani sulle spalle, ci guarda negli occhi, ci parla direttamente, sollecitandoci a crederci ( «Avanti, lo sai che andrai tutto bene e che balleremo per tutta la notte. Avanti, lo sai. » ). Si tratta di uno dei pochi brani scritti interamente dal suddetto.
Preparate i fazzoletti per il momento apice di suggestività emotiva: “Too Good For Giving Up” – una ballata di piano sagittabonda, vellutata da violini e steel guitar (in stile “Albatross” dei Fleetwood Mac). Nonostante ciò, fallisce nell’ereditare il ruolo di «instant classic » di “Once” e “For What It’s Worth” – troppo smielata, forse?
La leggiadria estiva di “It Was Not Meant To Be” – che sa di Teenage Fanclub – ha tutta l’aria di essere la classica traccia che passa inosservata ai più, ma che rapisce il cuore di chi coglie la meraviglia che risiede nella propria semplicità . Per altri, sarà soltanto un riempitivo.
Tutta la forza e l’ardore della voce del nostro carissimo divampano in “Everything’s Electric”. Scritta e suonata da Dave Grohl – stimatore dichiarato dell’ex Oasis– e prodotta da Greg Kurstin.
Se, ad un certo punto, doveste udire un’armonica, maracas e strimpellate jangly, significa che è arrivato il momento di “World’s In Need”. Rievoca le sonorità di Bo Diddley e, citando artisti più recenti,Primal Scream e The La’s.
La teatrale “Moscow Rules” – un arpeggio cupo che cresce in un ritornello lennoniano – ci regala un altro ospite speciale: Ezra Koenig dei Vampire Weekend, che ci delizia con un’eccezionale prestazione al piano e al sassofono – sassofono in un disco di Liam Gallagher? In che razza di mondo parallelo siamo finiti?
Ha un non so che di Kasabian il brano “I’m Free”. Si tratta di una sorta di dub\reggae che potrebbe lasciare spaesato qualche ascoltatore: un Liam libero (appunto) che modula la voce in modo inedito, svincolandosi da qualunque metrica.
Vibrazioni beatlesiane ci inebriano nella raggiante “Better Days”, che riprende il beat di batteria di “Tomorrows Never Knows”. Inoltre, ricorda “Let Forever Be”: una collaborazione di Noel Gallagher con i Chemical Brothers.
Il disco termina con la lunare “Oh Sweet Children” – che riecheggia il McCartney degli ultimi Fab Four e dei primi lavori da solista – il ritornello non ricorda anche a voi quello di “Carry That Weight”?
Insomma, capite perchè Liam riempie ancora gli stadi? Capite perchè farà il pienone per serate a Knewborth e all’Etihad Stadium? Sapete perchè riesce a conquistare le nuove generazioni?
Perchè è la voce di un mondo che non si riconosce nelle maschere, nell’ipocrisia e nella superbia. Perchè è la voce di emozioni forti, speranza, gioventù e libertà . Perchè sa cantare con grezza schiettezza e, al contempo, rincuorare gli animi smarriti con attimi magnificamente toccanti.
Certo, il vuoto che il fratello ha lasciato resta incolmabile. Lo è per lui, innanzitutto: vi ricordate quando, nel tour di “As You Were”, mentre cantava «It’s all too much for me to take when you’re not there» di “Rockin’ Chair”, indicava il punto in cui Noel era solito collocarsi sul palco?
Eppure, pare che a molta gente basti soltanto voce di Ourkid per tornare a sentirsi viva.
Ci si vede a Lucca, bella gente.