Ripartono da “Senghe” gli Almamegretta, titolo che in napoletano vuol dire fessure, le mille crepe di cui parlava anche Leonard Cohen capaci di far crollare quei muri che troppo spesso dividono stati, persone, creando astio e tensione. Un nuovo disco sei anni dopo “EnnEnne” (2016) che segna l’ingresso ufficiale di Paolo Baldini nelle vesti di produttore ma anche a basso e programming, l’uomo scelto per perpetuare un sound sempre aperto a contaminazioni e influenze.
Undici brani che si rivelano un agile mix tra forma canzone e quel “materiale da sound system” che vira verso il dub in “Homo Transient” (praticamente già remixata) e “Make It Work” con un tenero rifacimento di “‘Na Stella” di Fausto Mesolella a unire idealmente la tradizione partenopea di ieri e di oggi. Fondamentalmente è quello che gli Almamegretta hanno sempre fatto: creare dialogo dove c’è silenzio, unire ritmo e melodia in ogni lingua possibile (napoletano, inglese, ebraico giusto per citare quelle qui usate).
Le chitarre, le armonie, le distorsioni di “Figlio” proiettano nel nuovo mondo in bilico tra presente e passato, atmosfere dense, scure e un testo che s’interroga su rapporti familiari mai semplici. “Toy” rispolvera le influenze più elettroniche, altro materiale da sound system pronto per i live, come la feroce e cadenzata “Ben Adam” del resto. La title track è il punto di contatto, quello dove s’incontrano le due anime di “Senghe” e apre la strada a una seconda parte più melodica che culmina in “Miracolo” e “Sulo” che con la sua anima meticcia sembra un omaggio a Pino Daniele.
Le radici reggae riemergono prepotentemente in “Water Di Garden” prima dei saluti affidati a “‘O Campo” spoken word ““ manifesto con la chitarra di Adriano Viterbini ad accompagnare in dissolvenza gli ultimi momenti di “Senghe”. Riescono a essere contemporanei senza perdere di vista sè stessi nè dimenticare il fondamentale fattore umano gli Almamegretta 2022, profondi e mediterranei con lo sguardo rivolto oltre l’orizzonte in un disco di notevole solidità .
Credit Foto: Fabio Iozzo