“Peaky Blinders” è stata una grande serie, che ha costruito un’epopea criminale articolata e stratificata. Di stagione in stagione, il plot si dipanava su più livelli, continuando a seguire i bassifondi di Birmingham e quindi gli affari iniziali degli zingari affettatori di facce, ma al contempo alzando il tiro attraverso l’ascesa politica e imprenditoriale del gigantesco Tommy Shelby di Cillian Murphy. Tuttavia non è mai stata esente da difetti, mi viene in mente una quarta stagione piuttosto farsesca, e trovo difficile paragonarla a capolavori veri come, che so, “Boardwalk Empire”.
Detto questo, la sesta e conclusiva stagione è stata all’altezza delle aspettative.
Per la prima volta, all’inizio di questa stagione troviamo Tommy a dover rimettere insieme i cocci dell’impero criminale e familiare dopo il rovinoso fallimento del piano ai danni della sua ultima nemesi, il fascista Sir Osvald Mosley. L’intera stagione segue quindi la meticolosa pianificazione di una grandiosa vendetta.
Dopo una prima puntata che rappresenta il vertice drammatico dell’intera serie, seguono quindi una serie di episodi lenti e fatali, dove Tommy perderà ancora altri pezzi e certezze. Peserà anche l’assenza della zia Polly, da sempre ago della bilancia delle questioni familiari degli Shelby.
Segue tutt’altro ritmo il lungo episodio finale, praticamente un film di circa 80 minuti, dove tantissimi nodi vengono al pettine.
Ma non tutti. I più prelibati, è evidente, il creatore Knight se li sta tenendo per il film promesso su Tommy Shelby, che quindi a questo punto mi sembra scontato vedrà verificarsi la vera chiusura della saga.
Sempre magnifica la fotografia plumbea, non sono da meno gli iconici costumi dei Blinders e, ovviamente, la colonna sonora curata da Anna Calvi, che propone leit motiv della serie come “Red Right Hand” (questa volta in salsa Patti Smith) e primizie come i The Smile.