L’afa di Caronte nelle giornate più lunghe dell’anno si fa sentire mentre seguo i binari del tram per arrivare all’Auditorium Parco della Musica Cavea. Dopo tutte le peripezie vissute per essere a Roma in tempo per il concerto di Nick Murphy, aka Chet Faker, mi dico che questo è, però, solo un ultimo, insignificante, ostacolo. Ebbene si, perchè la verità è che aspetto questo momento da quando, poco più di dieci anni fa, “Thinking in Texture” mi fece innamorare.
Dopo aver raggiunto il Cavea, seguendo le indicazioni di un parcheggiatore ultrasettantenne bruciato dal sole, prendo posto nella tribuna centrale, godendomi un’atmosfera felicemente ritrovata che, dopo anni di reclusione passati a sognare concerti, so di non dover più dare per scontata.
L’ingresso di Chet Faker è accompagnato da un’escalation di suoni distorti ed intermittenti messaggi grafici, entrambi proiettati sulla scena come fossero un’estensione audiovisiva della copertina di “Hotel Surrender” (2021). Sul palco troneggiano synth, microfono, pad, una chitarra e svariati pedali.
Nick Murphy, emerge da dietro le quinte vestito di bianco e rompe subito il ghiaccio con una carichissima versione di “Get High”. Neanche il tempo di accogliere lo scroscio di applausi che mette immediatamente a segno un altro colpo, regalando una bellissima versione di “Gold”, cantata con tanto di sfondo a tema highway notturna, preso direttamente il prestito dallo splendido video realizzato per accompagnare uno dei pezzi faro di “Built on Glass” (2014).
Con “1998”, Chet Faker si lancia entusiasta sul microfono, facendo danzare fluidamente le dita sul pad al contempo. “Feel Good” fa ondeggiare e cantare allegramente la platea all’unisono, mentre il preludio di “Trouble With Us” è un invito di cuore a ballare senza freni, che è impossibile da rifiutare.
“Drop the Game” fa faville e intanto la notte cala più densa sul quartiere Flaminio. “No Diggity” scivola sexy e setosa, con un Nick Murphy avviluppato al microfono, che inizia anche a giocare col pubblico.
Avvolta da un gioco di luci dorato, “Whatever Tomorrow” è una pillola di dolcezza che accarezza la platea prima di schiudersi e trasformarsi in quella fantastica perla che è “I’m Into You”, di cui il cantante ci regala una versione davvero notevole.
Chet Faker accenna un piccolo inchino e ringrazia il pubblico prima di sparire dietro le quinte. L’assenza non dura a lungo perchè il performer viene reclamato a gran voce dai fan.
Il bis si apre con una viscerale versione di uno dei miei pezzi preferiti, “To Me”, e sorrido perchè è un regalo che non avevo affatto dato per scontato. Segue una lunga improvvisazione al synth, con giri tanto sorprendenti quanto accurati, che mostrano un Murphy che sguazza, disinvolto, nel suo habitat naturale. L’intro si apre, rivelando quella che avevo già riconosciuto essere “Talk Is Cheap”, ed il mio sorriso si allarga ancora di più.
Il performer sceglie “Low” per chiudere il concerto ed in un certo senso anche il cerchio, riportandoci al presente del tour di “Hotel Surrender” (2021). Altro inchino, stavolta più profondo, prima di svanire dal palco tra gli applausi.
Un gran concerto per un musicista ancora troppo poco conosciuto in Italia. Un live che ha soddisfatto, se non superato, tutte le mie aspettative, regalandomi un ennesimo, speciale, souvenir musicale e l’occasione imprevista di riabbracciare un’amica, conoscere una gatta piumata e passeggiare al chiaro di luna per le strade di una sempre splendida Roma estiva.
Photo Credit: Nick Murphy