Per un iperprolifico come Anton Newcombe deve essere stata molto dura aspettare 3 anni prima di pubblicare qualcosa di nuovo, 3 anni di vuoto pandemico corrispondente anche ad un vuoto compositivo, come dicono le cronache, a cui ha messo fine in un momento esplosivo la produzione di questo “Fire doesnt’ grow on tree”.
Il leader dei Massacre riferisce che le canzoni sono uscite di getto, come se aspettassero lo stappo della bottiglia per sgorgare; d’altra parte, come dice il titolo, il fuoco della passione non rimane sugli alberi, ma ce l’hai dentro se esiste, e quando lo si trova o per motivi imponderabili, sbuca spontaneamente, bisogna asscondarlo e farlo espandere.
Che è poi quello che sostanzialmente succede in questo album, una dipersione quasi a ruota libera di una musica che riprende gli stilemi cari alla band, molto Bo Diddley, tanto fuzz e un giro di arrangiamenti che arriva al massimo al 1965, ma che la devozione e il gusto di Newcombe e soci sanno sempre come revitalizzare e rendere fresca. Bisogna ammettere che gli anni passati a insistere sugli stessi canoni hanno di certo migliorato la resa delle nuove produzioni, che, almeno fino a metà di questo “Fire doesnt’ grow on tree”, fanno rimanere alto il livello di coinvolgimento, quasi dionisiaco, delle atmosfere sixties, un power flower ruvido con la batteria rutilante, le chitarre sufficientemente abrasive tanto da sentire qualcosa degli Stooges, molto del miglior Ty Segall soprattutto le chitarre, con i ritmi del primo rock’n’roll.
Insomma piacevole, ma non appassionante. Dopo un po’ si ha l’impressione che gira e rigira non si esce dal confine del lavoro impostato, i brani iniziano in buona sostanza a confondersi, non si ricevono stimoli per riassaggiare queste canzoni, che assecondano l’esigenza di un momento, ma che non sanno reggere l’urgenza di una semplice ma consistente voglia di continuare ad ascoltarle. Potremmo dire che quindi si spengono fin troppo presto, ma è anche comprensibile, il rock’n’roll agli inizi aveva questa finalità , ovvero far evadere col pensiero, distorcere la realtà liberandola con dei suoni appunto di evasione; ma son passati circa 60 anni e siamo ancora qui a discuterne.
Ma vabbè, Newcombe vuol “solamente” migliorare il mondo, come forse dovremmo fare tutti, esortandoci a provare a tirare fuori la vitalità nascosta che c’è dentro di noi: questo è il suo mestiere, questo sa fare e questo è ciò che vogliamo da lui…beh, ogni tanto (non sempre) lo sa fare bene.
Credit Foto: Thomas Girard