Steve Gunn è un musicista nativo di Lansdowne, Pennsylvania, ma di stanza ormai da tempo a New York City: lo statunitense è stato uno dei membri dei Violators, la backing band di Kurt Vile, e ha anche realizzato parecchi progetti insieme ad altri musicisti. Inoltre Gunn ha una carriera solista di tutto rispetto con ben cinque album all’attivo. Il più recente, “Other You”, è uscito per la sempre prestigiosa Matador Records nell’agosto dello scorso anno ed è stato uno dei nostri album preferiti del 2021. Dopo tre anni di forzata lontananza Steve è riuscito finalmente a tornare a suonare in Europa ed è passato anche per l’Italia per due date. In attesa del suo concerto di domani sera giovedì 21 luglio alle Industrie Fluviali di Roma (per la rassegna Unplugged In Monti), noi lo abbiamo incontrato ieri sera in spiaggia all’Hana-Bi di Marina di Ravenna, sede della sua prima tappa nel nostro paese. Nella nostra chiacchierata il songwriter statunitense ci ha raccontato dei suoi due ultimi anni e ci ha dato maggiori dettagli riguardo al suo recente LP. Ecco cosa ci ha detto:
Ciao Steve, benvenuto sulle pagine di Indieforbunnies e grazie per il tempo che ci stai dedicando. Come stai? So che tu e il tuo tour manager avete avuto qualche problema con la macchina oggi: dove hai suonato ieri sera?
Ieri avevo un giorno libero. Siamo arrivati da Bruxelles, ma ci siamo fermati a Losanna. Ci sono voluti due giorni in macchina. Prima ho suonato in Portogallo e poi sono volato in Belgio.
Sei contento di essere tornato a suonare in Italia e in Europa?
Sì, è fantastico. Sono ormai passati alcuni anni. Non è un tour molto lungo, ma sono davvero felice di essere ritornato a suonare in Europa. Ho iniziato in Francia, poi Portogallo, Italia e poi andrò a fare qualche data nel Regno Unito. Viaggerò parecchio e ciò mi fa sentire bene.
Che cosa ti aspetti da questi due live-show italiani?
Molti miei amici hanno suonato qui a Ravenna e mi hanno detto ottime cose sull’Hana-Bi, quindi sono davvero contento di poter suonare qui anch’io finalmente. Non vedo l’ora di suonare qui stasera e anche a Roma giovedì. Come ti dicevo poco fa l’idea era quella di fare un giro corto adesso e poi tornare per un tour più lungo nei prossimi mesi. Penso che tornerò in settembre.
Posso chiederti come sono stati questi ultimi due anni per te?
Sono stati un mix di cose diverse. Credo di essere stato fortunato perchè nel 2019 ho suonato davvero molto in giro per il mondo e ho potuto viaggiare parecchio prima che tutto venisse chiuso. Sono davvero grato per tutto ciò. Inoltre sento che avrei avuto bisogno in ogni caso di una pausa. Inoltre ero concentrato sulla scrittura di un nuovo disco.
Non avevi molti piani di andare in tour quindi?
Avevo alcuni progetti che ovviamente sono stati cancellati. Stavo lavorando con alcuni amici e stavo preparando un disco insieme al mio amico Cass McCombs e poi sarei dovuto andare in tour insieme a lui, ma è stato cancellato. Avevo alcune cose in programma, ma non tante. Sono stato contento di potermi prendere una lunga pausa, era da tanto tempo che ne sentivo il bisogno. Per anni sono andato in tour e poi mi concentravo sulla cosa successiva e adesso ho capito quanto avevo bisogno di questa pausa. Sia per motivi personali che artistici. Credo che chiunque debba avere l’opportunità di prendersi una pausa. Ero finito dentro a un ciclo, non necessariamente uno negativo, ma era un ciclo e credo che sia stato salutare per me fermarmi e uscirne. Mi è servito per connettermi con una parte differente di me stesso. Ovviamente ero preoccupato per le condizioni della mia famiglia e dei miei amici. Sono successe tante cose negative, tante persone non hanno potuto navigare in questa situazione nel modo migliore. Ognuno ha le sue storie. Ora sono arrivato in Europa e ho suonato in parecchie città in cui ero già stato e tutti mi raccontavano le loro storie, tutti hanno avuto queste esperienze collettive. Ogni cosa è andata in pausa, ma allo stesso tempo stavo scrivendo un nuovo album ed è diventato il mio scopo, la cosa su cui concentrarsi. In molti hanno fatto così, tutti hanno iniziato a lavorare da casa. Durante la pandemia ho costruito un piccolo studio a casa mia e ho iniziato a scrivere delle canzoni. Di solito iniziavo a scrivere mentre stavo viaggiando, quindi mi è sembrato un processo davvero differente. Ho imparato molto riguardo alle tecniche di registrazioni.
Pensi che avresti scritto un disco in ogni caso in quel momento?
Credo che il disco sarebbe stato diverso. Ho sentito di aver molto tempo a disposizione per lavorarci su. Ho suonato molto nel senso che ho fatto molta pratica. Mi svegliavo e andavo nel mio studio a suonare. Ho speso tempo con me stesso come musicista, ho suonato la chitarra classica, ho guardato dei video di Segovia per imparare. Ero un po’ perso: quando ho smesso di andare in tour, ho smesso di provare, così (avere questo tempo libero) mi ha aiutato a esplorare maggiormente. Dopo un anno ho pensato che finalmente fossi pronto, il mio album doveva uscire. Poi dovevo ripartire e tornare in tour. Ci sono stati molti arresti e riprese. E’ stato difficile anche ritornare. Tutti abbiamo passato questi momenti duri. Ho dovuto confrontarmi con me stesso e con le mie aspettative di quello che era la situazione e con cio che avrei dovuto fare per prendermi cura di me stesso.
E’ stata una specie di shock per te, quando hai suonato per la prima volta dopo la pandemia? Come è stato a livello mentale per te?
E’ stato veramente emozionante.
Hai fatto qualche livestram durante la pandemia?
Sì, il prima che ho fatto è stato mentre stavo registrando il mio disco. Il mio amico Justin (Gage), che dirige il sito Acquarium Drunkard, collabora molto spesso con questo club chiamato Gold-Diggers a Los Angeles e abbiamo fatto un livestream lì: c’erano solo i registi e i tecnici del suono. Ero io insieme ad altre cinque o sei persone ed è stata la prima volta che ho suonato con altre persone nella stessa stanza. (ridiamo) E’ stato veramente fantastico potersi connettere con le persone che erano lì. Prima che non si potesse più suonare, non mi ero mai reso conto quanto fosse importante per me essere in contatto con le altre persone e quanto mi desse delle motivazioni. Ero a casa e stavo lavorando su nuova musica, ma ho capito che era proprio il contatto con le persone il motivo per cui stavo lavorando sulla musica. Registro dischi perchè mi piace viaggiare e perchè mi piace suonare di fronte alle persone. Ai concerti la gente mi diceva: “non vedo nessuno suonare dal vivo da un anno e mezzo”, così ciò era molto importante per me, era un momento davvero speciale. Anche su internet ci sono tante persone che ti guardano, ma è diverso. Più avanti sono andato in tour con Jeff Parker, che è uno dei miei chitarristi preferiti negli Stati Uniti. Eravamo entrambi in tour in solo. Ed è stata la prima volta che sono tornato a suonare dal vivo nei club ed è stato molto bello.
Il tuo nuovo disco si chiama “Other You”. Poco fa mi hai detto che hai trovato un’altra parte di te stesso durante la pandemia: pensi che questo titolo possa essere legato a questo fatto? E’ qualcosa di personale?
Sì, sia il titolo che i testi sono legati a ciò. E’ un album superpersonale. Prima non avevo un concetto per il disco, scrivevo le canzoni, ma non sapevo quali sarebbero stati i temi o su cosa avrei voluto concentrarmi. Ero concentrato su alcune cose, ma la vera idea per l’album è arrivata dopo la pandemia. Ho pensato che avrei dovuto creare questa nuova versione di me stesso, in cui non avevo necessariamente bisogno di cambiare completamente la mia vita, ma volevo esplorare me stesso. In passato lavoravo, ma non mi guardavo dentro, pensavo a progettare e non osservavo ciò che c’era al mio interno. Questo album è stato invece l’opposto. Per gli altri album viaggiavo e andavo qua e là , guardando i panorami e incontrando la gente, mentre per questo nuovo ho avuto tempo per osservare me stesso. E’ un universo totalmente diverso ed è importante riconoscerlo. Il titolo rappresenta questo periodo in cui ho dovuto affrontare me stesso. Non è stato per forza qualcosa di negativo. Ho letto molte cose su questo argomento e ho capito meglio quanto fosse importante conoscere me stesso. Era qualcosa che non avevo fatto per tantissimi anni. Ho sempre seguito altre cose, ma avevo bisogno di questo tipo di esperienza.
Quindi è stato un modo molto differente di scrivere e di pensare?
Sì, esattamente. Di solito sono un cantautore che espira, imparo sempre. E’ stato un processo che mi ha insegnato.
Hai registrato il tuo disco a Los Angeles: credi che l’ambiente che ti circondava ti abbia ispirato in qualche maniera? Credo che fosse molto diverso rispetto a NYC, dove abiti tu.
Sì, di sicuro. Amo Los Angeles e volevo fare un disco lì. In particolar modo volevo lavorare insieme a Rob Schnapf, sono sempre stato un fan dei dischi che ha prodotto. Lui è stato la ragione principale per cui ho voluto andare lì. Era un momento strano per andare a Los Angeles, eravamo durante la pandemia Non era proprio una cosa solare. Sono volato lì, ma non potevo vedere nessuno, ho fatto il test per il Covid e poi sono entrato in studio ed eravamo sempre solo noi tre. E’ stato molto interessante. Ho passato moltissimo tempo nello studio di Rob. A causa della pandemia eravamo lì tutto il giorno e anche alla notte, ci svegliavamo e tornavamo a fare la stessa cosa ancora e ancora. Qualche volta siamo andati in spiaggia ed è stato bello. Durante la pandemia la natura stava esplodendo, c’erano meno voli e le cose erano decisamente più tranquille. Era davvero un momento interessante in cui essere lì. Sono stato in spiaggia, ma non ho visitato molto la città . Credo che comunque il disco rifletta abbastanza l’area in cui mi trovavo, è più luminoso.
Che cosa puoi dire riguardo alle tue influenze musicali per questo disco? Che cosa stavi ascoltando, mentre scrivevi le tue canzoni?
Ho ascoltato molto Robert Wyatt, è un musicista, poeta e artista inglese ed era in una band chiamata Soft Machine. Ho ascoltato tantissime cose differenti, anche jazz. Mi piace molto questa band tedesca chiamata Cluster. Il mio amico che ha prodotto il disco (Justin Tripp) ascoltava sempre tanta musica, tantissimi dischi degli anni ’70 come i primi King Crimson, poi Brian Eno e ovviamente Bob Dylan. Cose classiche. Ho cercato di spingere la mia voce un po’ di più: mi piacciono molto gli Everly Brothers e volevo aggiungere delle armonie. Ho ascoltato un mix di tante cose e non ero concentrato su qualcosa in particolare.
Per il tuo nuovo album hai lavorato con numerosi collaboratori come Julianna Barwick, Mary Lattimore, Billy MacKay, solo per citarne alcuni: che cosa hanno aggiunto al tuo sound?
Sono stato davvero contento di chiedere a queste persone di collaborare con me. Fondamentalmente ho chiesto loro di fare ciò che volevano e sapevo che ciò che avrebbero portato al mio disco sarebbe stata la loro voce. Volevo cambiare e sperimentare. Avevo fiducia in loro perchè erano tutti musicisti che ammiro e sapevo che avrebbero fatto qualcosa di interessante.
Avete lavorato da remoto, scambiandovi file?
Sì, tutti mi hanno mandato dei file. Bill e Julianna mi hanno mandato dei file e mi hanno chiesto di ascoltarli ed erano fantastici. E’ stato un bel modo per connettersi con gli amici anche se eravamo in lockdown. Penso che sia una cosa che si potrà ripetere ancora. E’ stato un altro modo di lavorare. Penso che tutto cambierà e le persone continueranno a fare dischi in questo modo perchè è più facile.
Un’ultima domanda: per favore puoi scegliere una tua canzone, vecchia o nuova, da utilizzare come colonna sonora di questa nostra intervista?
Sì, certo. Direi “Fulton”.
Benissimo, grazie mille, Steve. Buon concerto per stasera e spero tu possa stare bene anche a Roma giovedì.
Grazie anche a te.
Photo Credit: Duane Michals