Anni ’90 a noi. Ciclicamente tutto torna. Nella musica e nel cinema gli anni ’80 e i ’90 sono li, in agguato, pronti a tornare, sia nei film o nelle serie TV, sia in svariate sonorità , anche di giovanissimi artisti. E’ un male? Ma assolutamente no, se il tutto si dimostra fatto con gusto e con quell’attenzione che impedisce al tributo di diventare parodia o scadere nel patetico. La Gen-X che guarda con affetto ai ’90 sembra aver trovato altre due paladine oltre alla deliziosa Beabadoobee, stiamo parlando di Etta Friedman e Allegra Weingarten, giunte al terzo album della loro creatura Momma.
“Household Name” risulta essere il loro album più riuscito, sopratutto grazie a una scrittura felice, che andrà sì a prendere da gente come Liz Phair, Juliana Hatfield e Pixies, ma raramente sbaglia a trovare i ganci giusti da mandare a memoria. Morale della favola, il marchio di fabbrica non è certo l’originalità , incentrata sulla speranza di aggrapparsi a stilemi alt-rock anni ’90, ma se cercate chitarre più o meno abrasive (la produzione non è certo alla ricerca dello sporco eccessivo), melodie a presa rapida e voci femminili dal gusto ancora adolescenziale, beh, qui si va a nozze. Forse il gioco alla lunga diventa un po’ ripetitivo (il disco parte davvero forte, poi nella seconda parte viaggia più col pilota automatico), preferendo la via più easy a quale rischio di troppo, manca il reale fuoco sacro che animava band come Veruca Salt o Breeders (modelli, certo, ma per ora irraggiungibili) e figurarsi se tiriamo in ballo altri mostri sacri degli anni ’90, ci mancherebbe altro.
A tratti sembra di sentire la Soccer Mommy del secondo album che però, invece che starsene la sera nella cameretta a sentirsi la Morissette, decide di concedersi una serata a farsi qualche birretta e pure mezzo whisky, con in testa l’idea che un certo intimismo, almeno per un po’, possa essere messo in soffitta.
Il 7 in pagella è comunque ben meritato.