Il sempre prolifico Ty Segall ritorna ad esattamente un anno di distanza dall’ultimo lavoro a suo nome, “Harmonizer”, con il secondo album registrato nel suo nuovo studio casalingo a Topanga, California.
Nonostante le origini comuni, questi due album rappresentano di fatto le due facce diametralmente opposte del Ty-pensiero. Dove il primo era un album in linea con le sue produzioni più pesanti, con chitarre fuzz e suoni sporchi garage rock, questo nuovo lavoro suona molto più intimo, registrato quasi esclusivamente in solitudine e con l’obiettivo dichiarato di far esaltare la sua anima folk.
Quest’atmosfera minimalista si respira già a partire dalla copertina dell’album, dove Ty è fotografato dalla moglie, in un semplice bianco e nero, con la sola chitarra acustica a proteggerlo dall’obiettivo.
Non è la prima volta che il rocker di Laguna Beach si avventura in territori acustici, si pensi ad esempio ad alcuni riuscitissimi episodi su “Goodbye Bread” od a “Sleeper”, ma in questo caso il desiderio sembra ancor di più quello di voler liberare questo set di canzoni da qualsiasi orpello per poter fare brillare le melodie dal sapore sixities di cui tutto l’album è pervaso.
L’esperimento riesce tuttavia solo in parte, e quello che rimane è un album un po’ discontinuo, con alcuni dei brani che a volte danno l’impressione di essere solamente poco più di demo ancora in cerca di una loro identità , come ad esempio nel caso della opening track “Good Morning” o di “Blue”, piacevoli nella loro fragilità ma anche a tratti incomplete.
Armonie vocali solitamente abbastanza inusuali per il nostro, ma che bene si sposano con il mood dell’album, sono distribuite lungo tutto l’album, e vanno a sopperire con successo alla mancanza della solita strumentazione di supporto.
Nonostante l’album sia prevalentemente acustico, non mancano degli episodi in cui riaffiorano brevemente lampi elettrici, come in “Looking at You” o nella title track “Hello, Hi”, che ci riportano anche se solo momentaneamente su territori più familiari. I suoni elettrici rimangono comunque in secondo piano, e gli episodi migliori dell’album sono quelli in cui Ty riesce a portarci in territori sognanti che si basano su complesse melodie acustiche, come nella canzone in due parti “Saturday” o in “Don’t Lie”, con quest’ultima che ricorda alcuni lavori solisti di J. Mascis.
Sapevamo già come Ty Segall non fosse di certo tipo da farsi troppi problemi nel dare con continuità al suo pubblico nuovo materiale da ascoltare, e in questo ulteriore lavoro ci permette di dare una sbirciata ad una sfaccettatura del suo complesso mondo interiore non sempre tra le più visibili.