Un nuovo album dei redivivi Clan Destino, storica prima band di Luciano Ligabue ma con all’attivo una discografia in proprio tanto minuta nei numeri (solo due album veri e propri nella prima metà degli anni novanta), quanto significativa per i contenuti e per l’autentico talento dei protagonisti, è già di per se’ una notizia; se a questa però aggiungiamo che “L’essenza”, il lavoro in questione, li vede ancora pienamente in forma e con delle cose da dire, allora non ci si poteva proprio sottrarre dal dedicarvi il giusto spazio in fase di recensione.
Nel corso dei due decenni non erano certo mancate le occasioni per i Nostri di ritrovarsi sopra un palco, sia di nuovo al fianco del Liga nazionale nei vari raduni di Campovolo (dando sempre prova di assoluta compattezza, come se il tempo non fosse passato), sia episodicamente cercando di ridare nuova linfa al loro percorso, anche con nuovi elementi.
Mancava tuttavia sempre qualcosa, al di là che i vari componenti storici della band (Gianfranco Fornaciari, Max Cottafavi, Luciano Ghezzi, Gigi Cavalli Cocchi e Giovanni Marani) fossero molto impegnati nei rispettivi progetti artistici: nel 2022 c’era ancora posto per un gruppo come i Clan Destino e la loro genuina proposta rock di stampo classico?
La risposta, è quasi pleonastico dirlo, è sì, in tempi in cui chiunque può realizzare e pubblicare musica, e a maggior ragione vale per chi come loro ha sempre anteposto qualità e passione in quello che fanno.
Ci voleva però una forte motivazione nel rimettere in moto una macchina ormai datata, e la stessa si è concretizzata all’indomani di un forte lutto che ha colpito la band, essendo venuto a mancare all’improvviso ad ottobre del 2020 il bassista Luciano Ghezzi.
Oltre a sentire forte e naturale l’esigenza di omaggiarlo suonando di nuovo insieme, ricordando i bei tempi e immaginando di averlo ancora al suo posto sul palco, i Clan Destino hanno ritrovato verve e sostanza per ributtarsi in uno studio e creare qualcosa da zero, arruolando Mirco Consolini come bassista.
Le idee non ci hanno messo molto a sgorgare, così come un rinnovato entusiasmo, e il risultato sta tutta in queste nuove undici canzoni, in cui ricorrendo al titolo si va dritto all’essenza delle cose, e del gruppo stesso, con tutti i significati che si porta dietro.
A partire dalla bellissima copertina, realizzata da Cavalli Cocchi (uno che è maestro della materia), per giungere ai primi ascolti dei singoli anticipatori, si ha chiara la sensazione che ci sia spazio tra i solchi dell’opera, non dico per temi nostalgici, ma quanto meno per cercare di trarre alcuni bilanci.
“L’essenza” è un album dai connotati esistenziali, dove ovvio c’è spazio anche per il ricordo, la mancanza delle persone care ““ e la mente non può che andare al compianto Ghezzi ““ ma il tutto è corroborato da una giusta dose di consapevolezza.
Più che parlare di rimpianti, si vuole talvolta riannodare i fili delle proprie vite, rimanendo però ancorati alla realtà del presente, e raffrontare in maniera inconsapevole i tempi passati con quelli odierni, dando un occhio alle generazioni di oggi, così diverse eppure come allora alla ricerca di qualcosa di valore.
Musicalmente è un’opera ben suonata, ottimamente prodotta, e vede i “ragazzi” tutti autori di valide performance: rimarco questo fatto perchè potrebbe sembrare che una band con un’esperienza simile guidi col pilota automatico, e invece la bellezza di questi nuovi brani sta nel fatto che in ogni episodio si sente una passione mai sopita e la voglia spontanea di divertirsi e di comunicare.
Nel classico alternarsi di brani veloci e lenti, tappe dove si accelera e altre in cui si rallenta, i Clan Destino delineano un mood d’altri tempi ma che si fa ascoltare bene ancora adesso.
Il senso primordiale del disco lo potremmo trovare già tutto ben evidenziato nella traccia d’apertura, non a caso tra i singoli che ci hanno fatto conoscere in anteprima questo nuovo atto: “Manifesto” è programmatica dello stato d’animo del gruppo ed è esplicativa di un loro sentire comune, tra dubbi e incertezze.
Una mid-tempo piacevole che apre la strada alla ben più tirata e ritmata “Troppo di niente”; per cambiare registro occorre posizionarsi alla canzone numero 3, una delicata “I fiori di domani” in cui in modo suggestivo e struggente rievocano l’amico di tanta strada percorsa insieme.
Si tratta di canzone intensa in cui il cantato di Fornaciari si fa più espressivo che mai e la musica scorre fluida e ammaliante, mentre le successive “Diamante fragile” e “Lettera per me” percorrono invece territori più rock, con la seconda nella fattispecie che può ricordare proprio le canzoni del primo Ligabue, quando accanto a lui suonavano questi signori qua!
E’ in brani dal forte impatto come “Il gioco è sempre quello” che la sezione ritmica e la sempre splendida chitarra di Cottafavi fanno la voce grossa, dimostrando che con gli anni non sono andate smarrite grinta e vigore.
Altrove invece spicca ancora una volta la capacità interpretativa di Fornaciari, la cui voce ad esempio in “Tempo perso” non ha perso un grammo della sua freschezza e del suo fascino.
La pecca del disco, efficace dal primo all’ultimo pezzo della scaletta, può essere individuata nella mancanza di sorprese, o di un momento veramente memorabile, ma ecco che proprio in dirittura d’arrivo i Clan Destino ci regalano una bella botta emozionale suonandoci, col cuore in mano, una “Grazie per i giorni” che colpisce per le sue intense liriche dedicate a Luciano Ghezzi; interviene in coda al brano anche l’amico Ligabue – che di recente l’ha ricordato dolcemente nella sua autobiografia “Una storia” – , ed è quasi impossibile trattenere una lacrima di commozione.
La title track, posta in chiusura, musicalmente si discosta dal canovaccio del disco, essendo una ballata folk, e se pensiamo che vi partecipano anche Lenny Ligabue (il figlio di Luciano collabora pure in qualità di fonico), Tommy Fornaciari, figlio del frontman Gianfranco, e i musicisti Mel Previte e Robby Pellati (componenti indimenticati de La Banda, gruppo che andò poi a sostituire proprio i Clan Destino nei dischi di Ligabue) si capisce come il tutto dia la sensazione di chiusura perfetta del cerchio, non tanto per dimenticare una storia ma piuttosto per riaprirla nel modo giusto, senza rimpianti o recriminazioni per quello che è stato.
Questo album si spera quindi sia solo il primo passo di una seconda parte di carriera per una band che ha vissuto sin troppo dietro i riflettori, anzichè sotto come avrebbe meritato.
Credit foto: Jarno Lotti