Nella seconda metà degli anni novanta la fioritura di tanti artisti e gruppi italiani di area generalmente definita “alternativa” è ormai evidente: a coglierne i maggiori frutti saranno solide espressioni rock come i Marlene Kuntz, gli Afterhours, per non dire dei C.S.I. issatisi addirittura al primo posto in classifica con l’epocale “Tabula Rasa Elettrificata”, ma altri ancora erano riusciti in quel periodo a distinguersi, partendo da ambiti musicali differenti.
L’unione di quella grande “scena” non riguardava infatti un genere canonico ma era piuttosto dettata soprattutto da una certa unità di intenti e da un’attitudine simile nell’approcciarsi a un mercato discografico che stava diventando sempre più fluido e frastagliato.
Tra i nomi che stavano emergendo a gran voce, associabili verosimilmente più all’ambito folk ““ che loro stessi stavano imponendo in classifica dandone una chiava assolutamente personale ““ c’erano sicuramente i Modena City Ramblers, un collettivo pieno di talenti e di menti fini che, partendo dalle suggestioni ricavate dalla storia della Resistenza e della provincia per lo più emiliana (da dove in pratica provenivano, nomen omen), erano riusciti a toccare le corde degli animi più sensibili, proponendo temi dal forte impatto sociale senza disdegnare vette poetiche.
Album come quello di debutto, “Riportando tutto a casa”, e il suo brillante seguito “La grande famiglia” ne avevano codificato la traiettoria musicale e artistica, facendoli incasellare nel cosiddetto “combat-folk”, termine che sembrava calzare in effetti loro a pennello.
Una marcia inarrestabile in grado di assorbire i primi colpi (come l’abbandono della suggestiva voce di Alberto Morselli, che caratterizzò brani immortali come “In un giorno di pioggia”, “Delinquent ed Modna” o “Ninnananna” nella prima fase della band) e di reclutare strada facendo enormi consensi di pubblico, spinti da una coesione invidiabile e da un’autentica genuina passione per i temi trattati.
Nel giro di una manciata di anni o poco meno, i Modena City Ramblers erano insomma diventati un gruppo non più di nicchia, forti di un’ ispirazione che volava alta, così come l’entusiasmo, e queste componenti andarono a riflettersi nel migliore dei modi nel fatidico terzo album, il primo dove i Nostri decisero di modificare un po’ la loro rotta vincente, inoltrandosi in territori e suggestioni in parte inedite ma in realtà compresi nel loro background personale.
“Terra e libertà “, pubblicato esattamente venticinque anni fa, il 19 settembre del 1997, traeva spunto come il titolo ben esemplifica dalla preziosa lezione del regista Ken Loach, i cui temi sociali sviscerati egregiamente (non solo nell’opera citata) erano stati ben assorbiti dai membri dei Modena; la caratteristica che più però fece differire questo nuovo album dai precedenti era la presenza massiccia di riferimenti ““ talvolta esplicitati- al mondo dell’America Latina.
Più che un tuffo, si trattò di una vera immersione nella cultura latino-americana, nata dall’amore crescente per autori come Gabriel Garcia Marquez (d’altronde la fonte di ispirazione più presente nel disco è il celebre romanzo “Cent’anni di solitudine”, a partire dalla veemente traccia eponima) o Daniel Chavarria e dall’amicizia che si stava consolidando con personaggi di spessore della letteratura mondiale come Luis Sepulveda e Paco Ignacio Taibo II.
Normale che con simili presupposti anche il sound caro al gruppo andasse via via modificandosi, innestando elementi diversi alla matrice dichiaratamente irlandese dei primi lavori: non fu però una vera rivoluzione dal punto di vista musicale (quella a ben vedere avvenne qualche anno dopo, all’altezza di “Radio Rebelde”) ma di sicuro un primo tentativo di rinnovamento, a mio modo di vedere assolutamente riuscito e convincente.
Quel che ne risulta è un lavoro oltremodo profondo, vitale e denso di significati.
Ricordo che all’epoca i fans più “puristi” furono un po’ spiazzati dalle prime spruzzatine di chitarra elettrica (qui appannaggio specialmente del valente Francesco Moneti che ormai aveva sostituito ufficialmente il violinista originario del gruppo, Marco Michelini) e dalle nuove tematiche, e in alcuni casi storsero pure il naso, ma il tempo ha dato ampiamente ragione alle nuove istanze dei Modena City Ramblers che, certo, erano consapevoli che sarebbero andati incontro a dei rischi, lasciando una strada vecchia ormai consolidata e che stava regalando loro grossi consensi, ma a quel punto della loro storia era quella una prima svolta ormai necessaria, e dettata appunto da una genuina vicinanza verso quei modelli ispiratori.
C’è da dire che non fu del tutto abbandonata la chiave folk, in quanto in “Terra e libertà ” compaiono ancora violini e fisarmoniche e determinate melodie ma il tutto si sposava benissimo con le nuove atmosfere fortemente evocate.
Meno Pogues e più Mano Negra, se proprio volessimo sintetizzare la loro parabola artistica a quel punto, ma soprattutto da questo disco in poi si stava delineando la definizione sempre più vicina alla realtà di quello che sarebbero stati in futuro i Modena City Ramblers.
Con un Cisco sempre più a suo agio nel ruolo di trascinante frontman e il resto dei musicisti tutti uniti nel condividere il nuovo percorso, senza lasciare da parte i veri ideali che li avevano contraddistinti sin lì (e che i “superstiti” portano avanti ancora oggi in modo encomiabile).
Dopo tanta teoria sarebbe il momento di parlare delle canzoni ma a citarne solo alcune sembra quasi di fare un torto alle altre, vista la grande qualità di titoli come “Macondo Express” (sui viaggi di Manu e Ramon Chao verso i luoghi del romanzo di Marquez), “Remedios la bella”, “Radio Tindouf” (che testimonia la loro esperienza a fianco del popolo Saharawi), la travolgente “L’ultima mano” o “Il ritorno di Paddy Garcia” (mitico personaggio metà irlandese e metà messicano); come non ricordare poi “Transamerika”, dedicata al giovane Ernesto Guevara partito alla scoperta dell’America latina assieme all’amico Alberto Granado e diventata un classico del gruppo, e le magnifiche ballate “Qualche splendido giorno” e “L’amore ai tempi del caos”, che chiude il disco con toni soffusi e malinconici? Mi ripeto, la scaletta sarebbe da menzionare tutta nella sua interezza, essendo composta da brani tra i migliori partoriti dal gruppo in tanti anni di carriera.
“Terra e libertà ” è un album sui generis nel percorso artistico dei Modena City Ramblers, che a livello puramente affettivo magari non potrà intaccare la superiorità dei due che lo procedono, ma per il resto può a ben ragione avvalersi del titolo di capolavoro della band.
Modena City Ramblers ““ Terra e libertà
Data di pubblicazione: 19 settembre 1997
Tracce: 15
Lunghezza: 53:24
Etichetta: BlackOut/Polygram
Produttore: Valerio Soave
Tracklist
1. Macondo Express
2. Il ritorno di Paddy Garcia
3. Il ballo di Aureliano
4. Remedios la bella
5. Radio Tindouf
6. Marcia balcanica
7. Danza infernale
8. Qualche splendido giorno
9. Transamerika
10. Lettera dal fronte
11. L’ultima mano
12. Cuore blindato
13. Don Chisciotte
14. Cent’anni di solitudine
15. L’amore ai tempi del caos