Posso dirlo subito in apertura? Ma che disco ha fatto il grande Guy Chadwick? Ormai titolare in solitudine del marchio House Of Love (non c’è Terry Bickers ad accompagnarlo in questo “State Of Grace”, infatti), il buon Guy piazza 12 pezzi che non deludono affatto. Non è tanto l’andare a riprendere alcuni sapori e sensazioni dei bei tempi che furono, in modo do soddisfare quel lato nostalgico che c’è sempre accostandosi a questi nomi storici, è proprio la freschezza e l’entusiasmo che si agganciano a una scrittura felicissima, insieme a un piglio che non sentivamo da tempo, che fanno letteralmente decollare il disco.
Gli House Of Love 2022, rispetto ai precedenti lavori, sembrano in primis voler trasmettere energia e intensità nuovi, con le chitarre rombanti o, comunque, sferraglianti, ma in realtà sono sopratutto gli elementi di contorno (l’armonica a bocca che fa capolino infondendo un tono blues, la pedal steel, i piacevoli accenni al country) a dare qul tocco magico ai particolari (da sempre un punto di forza della band), necessari per trasmettere l’idea di come Guy sappia, in questo album, trovare il perfetto equilibrio tra l’anima inglese e uno sguardo benevolo e affettuoso all’altro lato dell’Oceano. In questo panorama così interessante aggiungiamoci una voce inconfondibile e una serie di ritornelli accattivanti e incalzanti. Potremmo non arrivare all’ 8 in pagella?
Il bello è che il disco parte piano, con la marcia ridotta, quasi ipnotico e desolato, con un folk-blues dolente, ciondolante e cadenzato, pare più di stare nell’America del Sud che a Londra. “Sweet Loser” in realtà serve proprio a scaldare i motori, a introdure quell’armonica di Jem Turpin e a ricordarci quanto sia importante una voce così caratteristica. Da “Light Of The Morning” i ritmi cambiano, ci troviamo su una strada americana, a tutto gas, con una decappottabile e la radio che ci accompagna a volume sparato, con strumenti variegati e cori quasi gospel: se qualcuno usasse la frase “Spiritualized meets Primal Scream” non sarebbe certo un sacrilegio. “Melody Rose” e “Clouds” sono rabbiose a dire poco: riffone anni ’90, sporco e oscuro per la prima, mentre la seconda sembra uscire dalla penna di un ispiratissimo John Squire invasato coi Led Zeppelin, prima che arrivino ancora i Primal Scream in pieno trip Rolling Stones. 2 pezzoni a dire poco!
La doppietta “Into The Laughter” e “Hay Babe” valorizza l’anima morbida e popedelica della band. “Into The Laughter” è proprio HOL classicissimo, da pelle d’oca, così come “Hey Babe”, che ci culla con delicati tocchi country, con un lavoro chitarristico che si potrebbe tranquillamente associare a Terry Bickers e la stessa cosa ci passa per la testa ascoltando “In My Mind” o la title-track, canzoni che guardano al passato, che assorbono vibrazioni positive dalla stessa fonte magica che ispirava la band tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90. Se “Sweet Water” mostra ancora i muscoli e suona come un rock classico e incisivo, “Queen Of Song” ha le due anime, country e rock-blues, che si guardano e si piacciono fin da subito.
“Dice Of Rolling” è ancora classica, classicissima se vogliamo, eppure, pimpante e carica, entra in circolo immediatamente e ci fa muovere testa e piedi. Il viaggio si chiude con “Just On More Songs”, con il country-blues che torna a fare capolino (bellissimo il solo di violino) e questi cori epici che uno come Jason Pierce non potrebbe che approvare.
Non c’è cosa più bella del farsi sorprendere…Guy ci sei riuscito con un disco ottimo e ti stimo! Non mancare di mettere l’Italia nel tuo tour!