Greg Dulli è quel bambinone che tutti vorremmo avere come fratello maggiore, da cui prendere l’energia quando viene, da strozzare quando fa le cazzate, da osservare quando in vena di scoperte, da amare totalmente quando ti graffia dentro, da passarci la vita quando è in forma: questo bisogna sempre premetterlo prima di ogni ascolto di un nuovo album dei Whigs, e a maggior ragione di questo, 5 anni dopo il precedente, una marea di tempo con una pandemia di mezzo, lutti, amori spezzati, vite in cammino.
“How do you burn?” cerca di prendere di petto la questione, rinvigorendo ancor di più se possibile il carattere muscolare del suono della band di Cincinnati, sfornando ritmi e vette sonore mai raggiunte, strizzando addirittura l’occhio ai vecchi amici QOTSA come nell’iniziale “I’ll make you see God”, con una produzione di cui si può dire di tutto tranne che non lasci al massimo la leva del volume in ogni brano, con un risultato, non sempre coerente anzi a volte stordente, che allinea tutto il percorso della band includendo anche le temperature calde Southern dei Twilight Singers, il cui immaginario si riconosce nelle care palme in lontananza della copertina.
Ma al netto di questa impostazione, che era anche ora che passasse un po’ di questa musica nelle FM americane, è tutto l’album ad essere trascinante, figlio di un impeto che si fissa in pochi accordi, nel fuoco della passione del titolo che si manifesta in un approccio fisico e spavaldo al solito di Dulli, che si gioca le canzoni su semplici idee di piano o linee di chitarra, per poi prenderle in mano e virarle con pochi cambi di arrangiamento, portandole come un fuoriclasse dentro i territori che da ormai 30 anni racchiudono l’essenza dei Whigs, quella commistione fra soul Motown, rock del deserto e suggestioni mardi gras del Sud che fanno di questa band una specie di caso esemplare di sghemba linearità nel panorama rock statunitense.
La loro forza risiede tuttavia nella capacità di mantenere alto il livello emotivo, come se ad ogni album dovessimo aspettarci qualche calo di tensione, la voce cadente o un passo indietro, uno scatto di fragilità , invece della baldanza e l’effervescenza di questo giovanotto di più di 50 anni che stupisce ogni volta, ci prende quasi in giro, noi che non siamo mai riusciti tanto a staccarci da “Gentlemen” e “Black love”, che abbiamo avuto nel tempo difficoltà e ritrosia ad approcciare qualche cosa che fosse lontanamente vicina a questi due capolavori, insomma per non cancellare il ricordo.
Eppure qui nel 2022 di “How do you burn?”, si sente che il capo è in forma, che c’è in lui l’eterna speranza di espandere il proprio stato di benessere così, free and wild: la parte centrale che va da “Catch a colt” a “Line of shots” è semplicemente mozzafiato, sia ne momenti piu’ tonici, sia nelle ballate come la splendida “Please, baby, please”, puro soul Whigs, dove lo spazio dilatato di questa torch song permette a Dulli di dare grande sfoggio ad una interpretazione da brividi, con queste parole semplici, prese col piglio di uno che ha vissuto migliaia di notti così, a stanare il sentimento e il torbido che sta dietro la realtà delle giornate semplici. Dulli naviga abilmente da decenni in questa sua incontrollabile furia espressiva, che non ha altri limiti se non la verve stessa, che a volte straborda a volte non è supportata da ispirazione a volte è talmente forte da farci passare sopra a melodie che magari sembrano dei singalong che neanche i Kasabian , ma è evidente che non ci possano essere due misure con un personaggio così ed in fondo dobbiamo tenercelo stretto.
Basterebbe questo, ma mezzo voto in più alla fine questo album lo prende perchè contiene 30 anni dopo “My curse” un altro duetto con Marcy May in “Domino e Jimmy”, che da subito ti spezza il cuore, che forse esagera nello sdolcinato e ripetuto chorus finale, ma ancora una volta queste due voci così complementari riescono a fornire una maledettissima prova di sfida alle nostre emozioni, un inno all’estasi tormentata dell’amore, una canzone che da sola esprime tutto il senso dell’opera, riassumendolo in poche liriche, nella struttura del brano spezzato in due con questa potenza che poche band come gli Afghan Whigs sanno abbinare alla dolcezza di un sound così intenso e incendiario: insomma, c’è sempre qualcosa di inebriante e contagioso in quello che fa Dulli, magari a volte un po’ meno, magari a volte di più, ma ogni volta è un piccolo fuoco, un modo per cui bruciare le nostre passioni.
Credit Foto: John Curley