Tutto è transitorio. Tutto è caotico. E noi, esseri umani, possiamo solamente intuire una minima parte della verità e dell’energia insita nell’universo. Preziosi frammenti con i quali, però, possiamo, continuamente, creare e poi distruggere mondi fantastici, possiamo creare e distruggere personaggi unici.
Un modo per distogliere l’attenzione da ciò che siamo in realtà , ma anche il nostro più grande potere, traccia e testimonianza dell’essenza divina che è celata in ciascuno di noi, quell’essenza che ha spinto David Bowie ad attraversare, come una fulgida e inarrestabile cometa, la cultura pop del Novecento, il glam-rock, la disco-music e la new-wave, la danza, la scultura, la pittura, la moda, la recitazione, il cinema, in una spirale di cambiamenti e di trasformazioni in eterno divenire.
“Tutto è spazzatura e tutta la spazzatura è meravigliosa”. Alcune cose possono apparire inutili o pedanti o estreme o eccessive, ma in realtà non è così, perchè tutte ci aiutano a liberarci di qualcosa di inespresso e malsano che, se fosse restato dentro di noi, avrebbe potuto farci del male o addirittura farci impazzire. L’ombra della follia e della schizofrenia è qualcosa che l’artista sente, sempre, perennemente a fianco. Egli, infatti, in un certo senso, teme di poter subire la medesima sorte toccata al fratellastro Terry, colui che ha influenzato il suo interesse giovanile per la Beat Generation, per il jazz, per Jack Kerouac e John Coltrane, morto, purtroppo, suicida nel 1985, dopo anni passati in cliniche psichiatriche, ma poi si rende conto che ciò non potrà mai accadergli perchè la musica e l’arte sono lo strumento con cui esorcizzare i demoni e i fantasmi che si agitano tra i suoi pensieri.
Intanto a Ziggy Stardust, la creatura aliena inviata sulla Terra come messaggero di un misterioso popolo delle stelle, segue il Duca Bianco, con il suo pericoloso paradiso artificiale di dipendenza e alienazione che spinge David verso il baratro finale dell’auto-distruzione. Una fine precoce alla quale l’artista riesce a sottrarsi entrando in contatto con la cruda realtà berlinese; Berlino, alla fine degli anni Settanta, è, infatti, una città lontana anni luce dalla spettacolare, lucente e artificiale Los Angeles, è una città nella quale la II Guerra Mondiale non è ancora terminata, la guerra fredda non è solo un concetto politico astratto, ma è reale e si insinua nelle menti e nelle esistenze delle persone comuni, come se fosse un atroce velo di tristezza ed impotenza, che, però, riesce a renderle più consapevoli, più forti, più pronte a non sprecare, inutilmente, il proprio tempo e le proprie vite.
Bowie è stato anche un personaggio dotato di grande ironia, capace di tornare sui propri passi e rivedere le proprie scelte, intento a liberare sè stesso e tutti noi dal piccolo angolo nel quale ci richiudiamo e spronarci a espanderci nella galassia, seguendo le sue narrazioni fantascientifiche, ma, allo stesso tempo, impregnate di una vibrante e indomita critica sociale. “Moonage Daydream” è un gran, bel film, ma non avrebbe mai potuto, ovviamente, percorrere tutti i sentieri di quel labirinto cosmico che è David Bowie. Resta, però una potente testimonianza dell’amore di David Bowie per la vita, per la creatività , per la musica, per i suoi amici, per Imam, per tutti coloro che hanno vissuto le storie narrate dalle sue canzoni, ai quali lascia un grande insegnamento: i sogni non sono eventi immaginari e concetti astratti da tenere nascosti in un cassetto, attendendo che, prima o poi, il destino li faccia realizzare; sta a noi, invece, concentrarci su ogni singola giornata, viverla al meglio, non gettarla via e, alla fine, ci troveremo ad avere realizzato, concretamente, quello che altri avrebbero considerato assurdo, incredibile e impossibile e avrebbero chiamato, semplicemente, sogno.