Tornano i Crack Cloud, collettivo di Vancouver che continua ad esprimersi in maniere indipendente e che riesce ancora a confermare le qualità di Zach Choy, capace di canalizzare la sua creatività in un album, a tratti complesso come il precedente, ma maggiormente capace di agganciare l’attenzione immediata dell’ascoltatore.
In fondo il progetto Crack Cloud ha una caratteristica precisa che è quello dell’indipendenza creativa, producono tutto in maniera autonoma riuscendo a tenere una qualità che coinvolge un po’ tutti gli aspetti necessari alla creazione di un album, dalla promozione alla distribuzione, dai video al tour.
Un collettivo che vede coinvolta la famiglia Choy insieme a tanti altri attori ma che vede, appunto, nella figura di Zach il punto di riferimento principale, un personaggio che ha un grande talento e una certa stravagante originalità compositiva che lo rende degno di tutta l’attenzione possibile.
Zach riesce a invitarci ancora una volta a far parte del suo mondo e lo fa ricordando la figura del padre Danny Choy scomparso in giovane età : nel brano di apertura “Danny’s Message” ha voluto riportare alcune registrazione su nastro della voce del padre, un discorso che è anche un invito a trovare nella creatività la valvola di sfogo alla propria rabbia, affinchè il dramma, il disagio esistenziale, il senso di inadeguatezza o qualsiasi altro turbamento non si cibi della propria mente ma anzi alimenti il proprio percorso creativo.
Un discorso che è quasi un manifesto di un album che ci mostra una band in evoluzione, se “Pain Olympics” ci aveva colpito per la forza dell’esordio e per avere una caratteristica creativa quasi autarchica che affondava in un post punk ruvido, “Tough baby” presenta anche diversi aspetti nuovi che lo rendono interessante.
“Tough Baby”, la title track uscita anche come singolo, parte come un pezzo alternative pop contraddistinto dalla sempre ottima base ritmica e dai cori femminili, e vive di vari momenti diversi mostrando un volto diverso della band, cosi come “The Politician” con un andamento quasi alla Bowie, seguito da “Costly Engineered Illusion ” uno dei pezzi forti dell’album, un brano degno dei migliori Clash, con gli ormai soliti cambi di melodia accompagnati questa volta da un controcanto, regalando una sensazione di perfetta anarchia.
L’album regala anche sensazioni anni ’60, le ottime “Please Yourself” e l’incredibile Afterthought (Sukhi’s Prayer) ne sono un esempio, così come momenti di lucida entusiasmante follia come “Virtuous Industry” una sorta di elettronica artigianale, la nevrotica e sorprendente “115 At Night”, e “Criminal” dove quel poco che viene concesso sembra quasi essere nascosto.
Ascolto dopo ascolto l’album cresce e l’ascolto in cuffia lo esalta, i Crack Cloud in tutta la loro indipendenza e originalità dimostrano che hanno ancora molto da offrire e che sono una band che non si pone limiti, un lavoro che è un piccolo gioiello.
Photo Credit: Bibiana Reis