Si dice che una rondine non faccia primavera, ma nel caso del nuovo, atteso, album dei Marlene Kuntz, il singolo “La fuga” era stato felicemente premonitore dell’alto tasso di qualità che avrebbe pervaso tutto il lavoro dei cuneesi. Oltretutto i richiami all’ambiente che in quel potente brano sono già ben presenti, non solo sarebbero affiorati anche altrove, ma avrebbero finanche costituito il topos letterario dell’intera opera.
“Karma Clima”, infatti, invita a riflettere sugli inevitabili cambiamenti che stanno affliggendo l’ambiente e il nostro pianeta e pur non potendo identificare i colpevoli, viene messo in luce ““ e non poteva essere altrimenti ““ l’atteggiamento umano, alle prese con le proprie responsabilità .
E’ pertanto un tema importante, saliente del nostro tempo, quello che ricorre in queste nove canzoni inedite, tese, vibranti, profonde.
Ed è, andando subito al focus dell’articolo, uno dei migliori album del gruppo di Godano e soci da molto tempo a questa parte.
Lo è perchè assolutamente ispirato, coeso, ficcante e composto da episodi tutti ugualmente rimarchevoli e meritevoli di svariati ascolti. Sì, perchè i Marlene necessitano sempre, oggi come quasi trent’anni fa (fa un po’ impressione a dirlo!) di essere assimilati con calma, perchè i loro brani, anche quelli più di impatto, che ti arrivano come un pugno nel petto, contengono al loro interno sempre dei dettagli unici, delle soluzioni narrative complesse e delle variazioni stilistiche.
“Karma Clima” è nato certamente dalle pulsioni interne e dalla sensibilità di ognuno dei componenti del gruppo verso determinate tematiche, ma ciò non significa che poi certe istanze siano finite in modo calligrafico nel disco, Cristiano Godano rimane comunque un paroliere d’eccezione in tal senso, in grado di permeare di versi poetici anche quelli che possono apparire come dei moniti, delle grida atte a scuotere la gente e metterla davanti al pericolo incombente.
Più di tutti questo è un disco dove la presenza delle tastiere, dei suoni elettronici, si fonde perfettamente con l’apparato sonoro caro alla band. In tal senso quindi l’apporto di Davide Arneodo è preziosissimo, con i suoi interventi sempre funzionali, a creare un sound autentico, pulsante, ricchissimo di quelle sfumature che un tempo erano principalmente appannaggio di Godano e del chitarrista Riccardo Tesio. Anche la produzione, affidata al valente Taketo Gohara, risulta la migliore possibile per far risaltare l’anima del progetto.
Dopo la presa di coscienza de “La fuga”, il gruppo inanella un tris di brani di assoluto livello, marleniani al cento per cento, con tutti i distinguo del caso.
“Tutto tace” vanta una performance d’autore di Godano, memore del suo primo lavoro da solista che ci mostrò il suo lato più intimista e cantautorale: dai ritmi cadenzati e carezzevoli si passa mediante un climax ascendente a un ritornello dai caratteri solenni: “Scavo ancora un po’ in fondo al nero/Letargo e pace/Rinnego il mio pensiero/E tutto tace”.
Con “Lacrima” si torna in territori prettamente rock: il ritmo è incalzante, ipnotico, fino a schiudersi in quello che è il ritornello più immediato della raccolta; “Bastasse” è la perla nascosta del disco, con parole che toccano vette di lirismo, un arrangiamento elegante e una struttura musicale che incanta e stupisce, con i suoi cambi di registro e i toni che si fanno grevi e pesanti nel finale, con quel suo “Sempre di più/Insensibili/E imperturbabili/E colpevoli/Verso di loro, noi/I nostri figli, noi/Il mondo brucia, e noi ?/Il mondo brucia”.
L’atmosfera muta d’improvviso con “Laica preghiera”, che vede la partecipazione di Elisa; è una canzone questa che si discosta dalle precedenti, aulica ed eterea (“E come se fossi qua/Fammi giungere agli dei”).
La seconda parte del disco inizia con “Acqua e fuoco”, piuttosto programmatica nell’unire elementi contrastanti, con un sound elettronico intenso un po’ penalizzato però da un arrangiamento che tende a smorzarne l’impeto, aggiungendo note che rendono tutto vagamente confuso e apocalittico. E’ un episodio che può ricordare certe atmosfere dei Radiohead, gruppo amato dai Nostri che un paio d’anni fa si cimentarono anche in una riuscita e particolarissima cover di “Karma Police”.
Colpisce di più una “Scusami” dove i Marlene Kuntz si mettono a nudo, svestendosi di sentimenti scomodi, fino ad apparire disarmati, seppur pienamente consapevoli: “Mi perdonerai/Se mi ritroverai ?/E se tornassi qui/Chissà se ce la farei/A dire “scusami”/E a darti il cuore per/Inebriarti con la mia gioia”.
E’ poi il turno della già nota “Vita su Marte”, pubblicata come seconda anticipazione dell’album, che in chiave ironica, ma senza rinunciare ad asperità e ammonimenti, preannuncia una possibile ricongiunzione con il pianeta rosso, costretto ad accogliere “chi ce la farà “, soprattutto chi se lo potrà permettere (“C’è un non so che di paradiso/E Marte è un poco più vicino/Sei ricco, fai un bel sorriso/E vagheggia il tuo prossimo vilino”).
Il disco termina in maniera suggestiva con la magnetica “L’aria era l’anima”, impreziosita nel finale da un coro di voci bianche e un testo tra i più aggraziati, sin dal suo brillante incipit: “Andavamo sempre a sederci là /C’era una panchina a ridosso del mare/E a volte la schiuma dell’onda al suo limite/Veniva a far festa intorno ai nostri piedi, effimera”, per poi dipanarsi lieve e disillusa in versi amari come “L’aria era l’anima/Era viva e magica/Nella sera scesa giù per noi/L’aria ora è minima/Senza vita e umida/Nella notte insonne che ci logora”.
“Karma Clima”, in un periodo di uscite discografiche assai rilevanti per la musica italiana ““ e forse più acclamate ““ rischia invero di sopravanzarle tutte, per la sua intrinseca qualità , il concept proposto e sviluppato in maniera mirabile e un tessuto narrativo e musicale assolutamente di prim’ordine.
Credit Foto: Michele Piazza