Che io non sopporti Thom Yorke è cosa nota per chi mi conosce. Tra le tante cose che mi infastidiscono di quell’uomo, ora, c’è pure il fatto, con il nome della sua ultima creazione musicale, di aver tolto visibilità o, meglio, aver creato qualche inconveniente prettamente “nominativo”, diciamo così, ai torinesi Smile, che sono stati costretti a salutare la loro prima ragione sociale per non incappare, appunto, in spiacevoli equivoci con il gruppo del bruttone, Jonny Greenwood e Tom Skinner. Salutiamo quindi i Smile e avanti con The Wends, che è un nome delizioso pure quello. Per fortuna deliziosa è pure la musica contenuta in questa uscita (per la sempre valida We Were Never Being Boring) chiamata “It’s Here Where You Fall”.
Partiamo, pronti attenti via e ci si sente subito circondati da una ventata pimpante di Paisley Underground e ci si chiede se il vento è cambiato, se oltre al nome anche il cuore dei ragazzi si è aggiustato, se non è più tempo di urlare frustrazione, di targliarsi con le chitarre spigolose che fanno esplodere emozioni. No, fermi tutti. La riflessione, i coretti più leggeri sono giusto una specie di intervallo tra il primo disco, ancora a nome Smile, e questi The Wends. Il passaggio, importante tanto per loro quanto per noi, è li, in “What A Heart Is For”, poi ecco che si torna nei ’90, quelli spigolosi, frenetici a tratti, rabbiosi. Eppure gli ’80 non sono così lontani, gli Smiths spesso fanno ancora capolino, il jangle non se n’è andato e questa irruenza coinvolgente dei ragazzi può sembrare quasi la sfrontatezza di chi fa le cose con spavalderia, giusto per mascherare una sua insicurezza di fondo, frustrante forse, ma mai capace di abbattere completamente i protagonisti.
Il sound è variegato, anche più che nel precedente lavoro. I torinesi sanno essere robusti, squadrati, con visioni anche rigorose e post-punk, disegnando solide geometrie che però, come dicevo prima, si lasciano anche plasmare e riscaldare dalla loro passione: i ragazzi ci mettono il cuore oltre che la testa (senza mai farsi prendere dalla frenesia, giusto dirlo), con una pulsione genuinamente “emo”, permettetemi il termine nella sua accezione originale, più vera e pura. Per non parlare poi delle sorprese di una brano come “The Way We Die Tonight”, così dolente e quasi doloroso nella sua intesità a fior di pelle, con il ritmo che si abbassa ma poi diventa epico nel finale, che magnifica dicotomia e chissà che non funga da via maestra per future composizioni.
Ad ogni ascolto il disco a me pare sempre più un clamoroso incrocio tra dei Pop Unknown con uno spirito agguerrito e degli Smiths aperti, con benevolenza, a lusinghe post-punk. Prendetemi pure per pazzo, forse sono solo miei vaneggiamenti o fantasie, ma una cosa, una sola, vi prego di ricordarvela e segnarvela…questi The Wends sono davvero bravi.
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