Realtà capovolta quella di Bill Callahan che presta il suo bel baritono a toni sempre più riflessivi, dolci, con un tocco noir. “Reality” uscito per la storica Drag City è stato descritto come un disco contemporaneo e vitale di musica che punta a risvegliare rabbia, amore e gentilezza. Suggestioni che da qualche tempo molto hanno a che fare con la penna di Callahan, autore di un folk si ingentilito e contaminato dai fiati ma mai privo di forza narrativa. I primi cinque bucolici minuti (“First Bird”) non devono ingannare dunque, ben presto si arriva ai marinai di “Everyway” che cercano di sopravvivere dopo un naufragio e all’epopea western di “Bowevil” in un crescendo distorto e vivace.
Sobrietà e lirismo appassionato dominano quest’ora di musica che si dipana tra personaggi poeticamente descritti come la madre in “Lily” e nuove storie della prateria umana (“Coyotes” e “The Horse”) strappando malinconici sorrisi. Sentimenti che convivono più che bene con l’ironia di “Natural Information” in un clima contemplativo (la fulgida “Planets”) dominato dal ben noto talento melodico di Callahan e da arrangiamenti eleganti che lavorano meglio a ritmi bassi e con luci soffuse. Merito di un gruppo ““ formato da Matt Kinsey (chitarra), Emmett Kelly (basso), Sarah Ann Phillips (organo e piano) e Jim White (batteria) più il clarinetto di Carl Smith, le trombe di Mike St. Clair e Derek Phelps ““ decisamente affiatato.
Il percorso discografico di Callahan può essere paragonato probabilmente solo a quello del prolifico Mark Kozelek, con risultati ben più costanti rispetto all’ex Red House Painters questo va detto. Resta fedele a se stesso l’artista un tempo noto come Smog e sembra già di vederlo intonare “Partition”, “Naked Souls” o “Drainface” con un piccolo sorriso sornione. E’ musica per cuori solitari quella di “Reality”, una realtà poco appariscente ma ricca di significati da interpretare come le mille domande suscitate da “Last One At The Party” su cui i molti fan del nostro già s’interrogano. Cerca le cose semplici della vita Bill Callahan, lo sguardo è quello mai cinico e un po’ sorpreso di chi la sa lunga ma non si rassegna in uno dei dischi più corali della sua carriera.
Credit Foto: Hanly Banks Callahan