Una filastrocca di Tim Burton ha tenuto a battesimo i Pin Cushion Queen, trio bolognese formato da Igor Micciola, Marco Calandrino e Paolo Mongardi che dopo la trilogia “Setting” alza il tiro con il nuovo album “Stories”. Trentotto minuti che uniscono rock ed elettronica tra percussioni, atmosfere cangianti e uno stile difficile da catalogare. Produce Bruno Germano (Iosonouncane, Giardini di Mirò, Julie’s Haircut) da sempre abile nel far emergere in modo elegante la personalità delle band che a lui si affidano, anche se in questo caso è più giusto parlare di multiple personalità .
I dieci brani di “Stories” infatti sono molto diversi tra loro ma non così tanto da sembrare estranei, ogni pezzo racconta la sua storia andando a ricomporre un quadro comune dai toni cinematografici. Sintetizzatori digitali e analogici, chitarre elettriche e acustiche, batterie elettroniche e non, un organo Wurlitzer, un Fender Rhodes, un vecchio synth Farfisa, contrabbasso e fiati formano una piccola orchestra che si muove decisa e compatta tra velati omaggi a Danny Elfman e una tensione latente che contagia buona parte del disco. Narrazioni gotiche in bilico tra sogno e incubo, con un inizio in punta dei piedi (“The Haunted”) e una crescita lenta ma inesorabile.
Melodie ipnotiche su ritmi tribali (“Hiccoughs”) che diventano ossessivi e violenti in “Still” poi ruvidi, minimali (“We saw you fall” ma anche “Little Boy” ) e oscuri in “Hindrance”, la strana sensualità tagliente che emerge in “Ghost & Witch” e “Scissors”, una ninna nanna dark e tenebrosa chiamata “Thick Black Mud” trascinano verso “The Expedition” chiusura lucida e distorta un po’ à la Mogwai. Oltre a Tim Burton il sound di “Stories” può ricordare i film più stranianti di M. Night Shyamalan mentre a livello musicale i Pin Cushion Queen non si spaventano affatto ad inserire elementi proto jazz in brani sempre evocativi che rendono il progetto decisamente interessante, con un forte respiro internazionale.
Credit Foto: Marianna Fornaro