I Broken Bells ci hanno fatto aspettare parecchio per vedere l’uscita di questo “Into The Blue”, un’attesa durata otto lunghissimi anni. Fino al 2018 avevano realizzato due album che avevano avuto un ottimo riscontro e attirato l’attenzione di molti, e che avevano accompagnato con un tour di successo, ma poi inaspettatamente il progetto era stato messo da parte e si era pensato che la storia della band fosse finita, considerato anche i vari impegni dei due componenti.
L’uscita dei singoli “Shelter” e dell’ottimo “Good Luck” del 2019, che stranamente non è stato aggiunto in questo lavoro, ci avevano fatto capire che qualcosa si stava muovendo in casa Broken Bells, c’e’ voluto ancora un pò di tempo ma ecco finalmente questo “Into The Blue”.
La band è composta da due pezzi da novanta, James Mercer il cantante e chitarrista degli Shins e Brian Burton conosciuto come Danger Mouse musicista e produttore di grandissimo livello, che ha lavorato con i Black Keys, i Red Hot Chili Peppers, Beck, con i Gorillaz al loro meglio (Demon Days) e molti altri .
In questo album quindi mettono tutto il loro mestiere, non solo la voce sempre ottima di James Mercer ma soprattutto lo sforzo produttivo di Brian Burton che si traduce in arrangiamenti meticolosi e scintillanti messi a disposizione di brani dalla dimensione pop che hanno spesso la capacità di creare melodie con un sapore retrò.
In realtà sembra un album senza tempo, elegante e raffinato e pervaso da un velo di tristezza che viene naturalmente donato dalla voce di Mercer, anche quando il brano nasce come un pezzo folk acustico per poi venire trasformato e illuminato da arrangiamenti e cori che lo rendono spesso particolarmente luminoso.
Se una certa atmosfera anni 70 emerge qua e là con piccoli accenni di psichedelia come in “Saturdays” o di atmosfere leggere di R&B come nell’elegante “Love On The Run”, o sotto forma di hit minori anni 80 come per il pezzo finale “Fade Away”, in realtà il meglio proviene dai pezzi iniziali in particolare la lussureggiante “We’re Not In Orbit Yet”…” con l’inizio dei sintetizzatori poi gradualmente sovrastati dalla chitarra e dall’interpretazione di James Mercer, qui al suo massimo, che canta con una certa indolenza ipnotica, un brano che potrebbe benissimo essere suonato come fosse una ballata rock senza perdere una virgola del suo fascino, cosi come la dolce e malinconica “Invisible Exit” con la sua chitarra acustica che poi lascia che siano gli archi a creare l’atmosfera giusta, .
Un album con una produzione particolarmente riuscita, e non poteva essere altrimenti, che ha la qualità di concedere un ascolto piacevole e rilassante e che merita di essere suonato perchè ha proprio in queste sue caratteristiche la sua forza e singolarità maggiore.
Credit Foto: James Minchin