Passa finalmente anche da Milano il tour europeo dei Nada Surf, più volte posticipato per la pandemia, e citando un amico, siamo proprio davanti agli alfieri di un genere in via di estinzione, ci sono sempre meno ascoltatori e meno artisti a portare linfa per quello che può considerarsi una sfaccettatura o rilettura di un certo indie rock.
La band capitanata da Matthew Caws è in in Europa per presentare l’ultimo lavoro in studio “Never Not Together“, che appunto non aveva ancora avuto una degna celebrazione essendo uscito proprio nell’infausto 2020: parliamo del nono capitolo della saga, che aggiunge fieno in cascina e ci riconsegna una band, sempre affiatata, senza la pretesa di cambiare l’evoluzione della specie umana, ma semplicemente di scrivere e suonare canzoni di qualità , quello che poi succede fin dal giorno zero.
Il climax probabilmente è stato ampiamente raggiunto con il loro piccolo capolavoro, quel “Let Go”, uscito esattamente due lustri fa, un passaggio obbligatorio per chi ama questo genere, ma la penna è comunque rimasta di alto livello anche nei lavori successivi, penso ad un brano come “Mathilda” che si trova proprio all’interno dell’ultima tracklist, quanto trasudi bellezza pop in oltre sei minuti di musica totalmente libera, come dire che non sono mai mancate e non mancano tutt’ora, nuove frecce da lanciare.
Stasera, va in scena una sorta di mini festival; ad aprire le danze, una band di La Spezia, This is Fernand Hell, che suonano alcuni brani del loro primo EP, un punk rock senza fronzoli, eseguito con il giusto approccio, che raccoglie calore e sostegno dal primo pubblico presente in sala.
Subito dopo l’ospite fisso del tour, Kevin Devine, che, a mio parere, fa sicuramente parte di quegli artisti incompresi, le cui carriere dovevano essere diverse, rispetto alla proposta e ai lavori licenziati; su larga scala, discorso che può essere esteso anche per i padroni di casa, che sebbene siano ancora qui dopo trent’anni di sodalizio, la sensazione che abbiano raggiunto numeri di gran lunga inferiori rispetto alle potenzialità , rimane.
Kevin suona alcuni brani in dimensione acustica, lui e la sua chitarra, ovviamente rispetto ai dischi, che hanno una produzione importante, le sue canzoni nude e crude, perdono in dinamica e suono, ma ci guadagnano in sincerità , con il solo Kevin a trattare la materia con un approccio anche teatrale, con simpatia e senso di appartenenza, rimane, quanto i fratelli maggiori, un asso del genere. Una setlist concitata, con l’apice in un paio di brani come la sempre bellissima “Albatros” e unintensissima “Brother’s blood”, in chiusura, con un finale urlato a metri di distanza dal microfono, che lascia il segno.
Subito dopo è l’ora dei Nada Surf, che ci regalano due ore tonde tonde di concerto, buttando sul piatto tutta una serie di singoli da fare invidia a chiunque e si sono pure permessi di non farne altri.
Ventitrè canzoni tutte belle, cosa che non capita sempre, non c’è un attimo di noia, e rimane, seppur banale, il concetto che quando l’asticella sia così alta in ottica di songwriting, qualsiasi altro discorso passa in secondo piano.
Attaccano subito con “Popular”, passando per “Hi-Speed Soul”, “The Plan”, “Killian’s Red”, dovrei fare la lista della spesa citando tutti gli articoli del negozio, come quel masterpiece pop che è “Inside of love”, seguita da “Blonde on blonde” o “See these bones” che ci risuoneranno a turno per qualche ora comoda; “So much love” e “Always love” si sentono nei bis, mentre “Blankest Year” porta un’invasione di stage di alcuni fortunati fan, chiude tutto una “Blizzard of 77” in versione acustica senza amplificazione e microfoni, cantata dai quattro nada surf in un religioso silenzio, un confidenziale modo di salutare con garbo e leggerezza un concerto, a dir poco, bellissimo, suonato da un grande collettivo di amici veri, assoluti capoclasse.