Oramai Timothèe Chalamet è come il prezzemolo: lo trovi ovunque. E sia chiaro, non è un male. Il ragazzo è un vero portento nella recitazione e come al solito riesce a tirar fuori tutta la sua bravura anche nelle panni di un cannibale vagabondo nel nuovo film di Luca Guadagnino “Bones And All”.
Il titolo si riferisce a quello che nel film viene definito “il pasto completo”, ovvero l’iniziazione di un cannibale alla vera vita che gli spetta. In effetti possiamo considerare questo lungometraggio come un racconto di formazione in stile on the road. Per queste ultime due tematiche possiamo già immaginarci lo stile estetico di Guadagnino evolversi alla massima potenza. La tematica del cannibalismo, invece, è un po’ nuova a tutti.
Il regista lo abbiamo già visto in un remake inquietante come “Suspiria”, ma mai a questi livelli: l’adattamento dal libro omonimo può rendere il tutto facile, ma in questo caso preciso vediamo l’artista andare oltre offrendo qualcosa di ancora più terribile e poetico.
Maren (Taylor Russell) è una cannibale alle prime armi, che non sa bene quello che sta facendo nello specifico. Ancora inesperta, si fa trascinare dal desiderio di carne umana e questo per il padre è un problema: gli episodi, ancora sporadici, di cannibalismo della figlia lo porta a dover essere trascinata per tutto il paese sperando che smetta. Questo non accade, e all’ennesimo attentato alla vita (o al dito) di una compagna di classe di Maren, suo padre decide di abbandonarla. Distrutta da questo abbandono, la protagonista si mette in viaggio per trovare e finalmente conoscere sua madre (Chloà« Sevigny) rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Parte quindi il viaggio: il primo e terribile incontro lo ha con un veterano della carne umana ovvero Sully (Mark Rylance) che riesce a scovarla grazie al fiuto oramai allenato del suo naso. Scappata da casa sua, immaginatevi le abitudini di quest’uomo, incontra Lee (Timothèe Chalamet) del quale s’innamora e con il quale inizia il viaggio alla scoperta della sua vera natura. Dopo un incontro sfortunato con la madre, e qua il terribile secondo incontro, Maren decide di rimanere con il ragazzo fino al finale totalmente inaspettato.
Se si possono fare molte comparazioni con altri lavori di Guadagnino ( la serie tv “We Are Who We Are”) o con altri film (“Nomadland” di Zhao), davanti a queste nuove immagini troviamo una grande crasi che, inevitabilmente, divide la critica e i fan: la messa in scena così realistica e dettagliata rende il film una nausea costante, ma alternato alle riprese più dolci ed estetiche il bilanciamento è assicurato.
Un grande sali e scendi di tensione, noia e amore rende, a mio parere, questo film un bellissimo ed inusuale prodotto per il grande pubblico: Luca Guadagnino si è voluto inoltrare in campi più tormentati dell’animo e della natura umana, cercando di trovare e di trasmettere una metafora estrema della diversità in un mondo costantemente fermo e uguale.
Anche chi è debole di stomaco riesce a vederlo, ve lo assicuro: se non consideriamo quella metafora di diversità così stirata e forse poco azzeccata, il film è bello da morire proprio per il suo alternarsi di tensione, brutalità e dolcezza, intimità puramente estetica. Il tutto aiutato, come sempre, dalle grandiose musiche di Reznor e Ross che accompagnano in maniera impeccabile ogni fotogramma.
Chi lo sa se in un futuro, qualora i film su tematiche così forti e lontane a noi continueranno ad essere così delicate, riusciremo ad accettare docilmente queste narrazioni ma nella vita reale.