10. AUTOPSY
Morbidity Triumphant
[Peaceville Records]

L’atteso ritorno degli Autopsy è fedele al titolo che porta. Il trionfo della morbosità  o, se volete, dell’anormalità . I veterani del death metal statunitense ci sorprendono ancora una volta con un album che, tra mazzate thrash e legnate doom, ci fa sperare in un futuro roseo per la musica estrema più contaminata e lercia. Evviva l’esperienza!

9. EARTHLESS
Night Parade of One Hundred Demons
[Nuclear Blast]

Un fantastico viaggio psichedelico lungo le autostrade dello stoner rock strumentale più pesante e riffocentrico. I venti minuti di “Death To The Red Sun” sono veramente da sballo. Se non conoscete gli Earthless, provate ad avvicinarvi alla loro musica gustandovi questa lunghissima e allucinatissima traccia. Non ve ne pentirete.

8. TANGERINE DREAM
Raum
[Nuclear Blast]
La nostra recensione

Neanche la morte della “mente” Edgar Froese è riuscita a fermare i Tangerine Dream, tornati all’inizio del 2022 con “Raum”. Il trio di musica elettronica, composto da Thorsten Quaeschning, Hoshiko Yamane e Paul Frick, sfrutta la carica evocativa di queste sette tracce strumentali per trasportarci in un mondo dominato da atmosfere notturne ma quiete, prive quindi di ombre o disturbi. Nulla grava sul denso sound digitale messo a punto dai nuovi Tangerine Dream, autori di un lavoro piacevolmente immersivo che tocca punti di eccellenza negli ultimi sette minuti di “In 256 Zeichen”: un oceano di note dolci e rassicuranti che arriva al termine di un intricato gioco di sovraincisioni tra sequencer e violino.

7. MEGADETH
The Sick, The Dying”…And The Dead!
[Tradecraft / Universal]
La nostra recensione

Il 2022 ha segnato l’attesissimo ritorno dei Megadeth, i mai troppo celebrati maestri del thrash metal iper-tecnico che, con il più che convincente “The Sick, The Dying”…And The Dead!”, ci hanno regalato almeno cinque o sei tracce davvero micidiali. La title track, “Life In Hell”, “Dogs Of Chernobyl”, “Killing Time”, “Cèlebutante” e “We’ll Be Back” sono veri e propri pugni allo stomaco. Un fiume di rabbia e cattiveria che travolge l’ascoltatore, quasi a volergli ricordare a quali livelli di qualità  possa arrivare la musica pesante quando fatta con potenza, esperienza e passione. Nessuno sa scrivere riff di chitarra come Dave Mustaine!

6. TRENTEMà’LLER
Memoria
[In My Room]
La nostra recensione

Se siete amanti dello shoegaze e del dream pop “sporcato” dall’elettronica e dalle note oscure e sinistre tipiche del post-punk, andate a recuperarvi “Memoria” di Anders Trentemøller, DJ e musicista danese di provata esperienza. Le tracce cantante da Lisbet Fritze rappresentano i punti più alti di un disco che, tra ricordi del passato e visioni del futuro, in alcuni passaggi sa realmente colpire al cuore (“Like A Daydream” è bellissima).

5. NILàœFER YANYA
Painless
[ATO Records]
La nostra recensione

Le dodici tracce di “Painless”, seppur contraddistinte da un sound più diretto e scarno rispetto a quello delle pubblicazioni precedenti, rappresentano un’evoluzione importante per quanto riguarda lo stile di Nilà¼fer Yanya, cantautrice britannica che, nonostante la giovane età , sembra ormai pronta al definitivo salto di qualità . Il disco è da considerarsi un tuffo nelle emozioni e nelle vulnerabilità  di una ragazza di poco più di vent’anni che, con un piede nel pop e l’altro nel rock, lascia ampio spazio alle melodie più malinconiche e raffinate, con inserti elettronici e un certo languore in salsa “’90s a fare da contorno.

4. OFF!
Free LSD
[Fat Possum Records]
La nostra recensione

Keith Morris stravolge la formazione degli OFF!  e, potendo fare affidamento sul talento di un batterista di estrazione jazz/funk quale Justin Brown (già  al fianco di Herbie Hancock, Thundercat e Flying Lotus), si reinventa l’hardcore con “Free LSD”, un album di punk rock super-sperimentale tanto eccitante quanto tecnicamente eccelso. Le canzoni, tutte abbastanza brevi, contengono elementi sonori presi in prestito dal free jazz, dallo stoner, dall’industrial e dal noise. Suoni incisivi ma mai davvero invadenti, sempre molto ben amalgamati con l’incontenibile furia della band.

3. VOIVOD
Synchro Anarchy
[Century Media]
La nostra recensione

I Voivod  celebrano i quarant’anni di carriera con “Synchro Anarchy”, un album che aggiorna il consueto thrash/prog metal della band canadese ai tempi della pandemia e della ritrovata paura nucleare. Il disco nasce come risposta diretta ai tempi bui che stiamo attraversando: una reazione di pancia e di cuore all’incubo del contagio e, più in generale, dei vari orrori che ormai gravano su un mondo che sembra sbucare fuori da una puntata di “Black Mirror” particolarmente inquietante. Le atmosfere dei pezzi sono cupe, pesanti e a tratti persino opprimenti. Il terrore è sempre e costantemente dietro l’angolo, ma i Voivod  sanno come trattarlo. A volte provano a scacciarlo via, magari a suon di mitragliate thrash (“Sleeves Off”, “Quest For Nothing”. o di mine spaziali (“Holographic Thinking”). In altre occasioni, invece, ci si tuffano dentro, regalandoci scorci di un universo dominato da cattivissimi e sporchissimi alieni cresciuti a Pink Floyd,  Black Sabbath  e post-punk (“Paranormalium”, “Mind Clock”, “Memory Faliure” e la fantasmagorica title track).

2. CAVE IN
Heavy Pendulum
[Relapse Records]
La nostra recensione

La seconda vita dei Cave In, dopo la tremenda morte del bassista e cantante Caleb Scofield nel 2018, inizia con un lavoro lungo, denso e pieno zeppo di idee. L’ideale per riassumere al meglio tutte le varie fasi attraversate dal gruppo in una frastagliatissima carriera lunga un quarto di secolo. Si spazia dal furioso metalcore degli esordi allo space/progressive rock del bellissimo “Jupiter” del 2000, in un discorso musicale dall’ampio respiro che include tracce di post-hardcore, sludge/doom (vedere i riff delle pensatissime “New Reality”, “Blood Spiller” e “Nightmare Eyes”), post-metal (le lunghe e raffinate “Blinded By A Blaze” e “Wavering Angel”), grunge (l’impronta dei Soundgarden è evidente in alcuni passaggi di “Floating Skulls”. e persino folk, seppure in una forma estremamente sporca, distorta e dalle tinte stoner (la polverosa “Reckoning”, scritta e cantata dal chitarrista ritmico Adam McGrath). A rubare la scena, come quasi sempre accade in casa Cave In, è il talentuoso leader Stephen Brodsky, la cui spiccatissima sensibilità  melodica dona ai pezzi di “Heavy Pendulum” un inedito gusto “classico” (che troviamo nei richiami alle vecchie sonorità  hard & heavy, in passato quasi del tutto assenti).

1. …AND YOU WILL KNOW US BY THE TRAIL OF DEAD
XI: Bleed Here Now
[Dine Alone Records]
La nostra recensione

Ventidue tracce, un’ora e un quarto di durata, suono surround quadrifonico. I Trail Of Dead  amano esagerare ma, fin quando continueranno a farlo così bene, è inutile avanzare qualsiasi tipo di lamentela. “XI: Bleed Here Now” è un ottimo esempio di come anche il rock più grandioso e potente (i malvagi lo definirebbero pomposo. possa non solo essere estremamente avvincente, ma anche primeggiare per gusto ed estro. A rendere questo disco esaltante, più che il sound avvolgente e ultra-definito, sono la qualità  della scrittura, la perfezione delle armonie vocali, il feeling tra i musicisti coinvolti e il livello stellare degli arrangiamenti. I marchi di fabbrica del gruppo ci sono tutti: le atmosfere cinematografiche, le orchestrazioni da musical, i ritornelli anthemici da stadio e i crescendo carichi di pathos sono ancora qui e in estremo risalto, a confermare l’ormai assodato formato “kolossal” della band texana. Non ci sono barriere: si viaggia liberi tra le soffici melodie power pop di “Field Song” e la durezza hard/prog rock di “No Confidence”, passando ancora per i cori da ubriaconi della festosa “Salt In Your Eyes” e la raffinatezza art rock di “Millennium Actress” (con Amanda Palmer  ospite alla voce). Ma la canzone più bella è “Contra Mundum”: un piccolo capolavoro a impreziosire ulteriormente un album commovente ed entusiasmante.