Dopo un paio d’anni dall’uscita del suo dodicesimo LP, “Have We Met”, Destroyer è ritornato lo scorso marzo con un nuovo full-length, pubblicato da Bella Union.
Composto a distanza nel 2020 durante il periodo di lockdown e registrato nella primavera del 2021, “LABYRINTHITIS” nasce dalla collaborazione tra Dan Bejar e il produttore e suo collaboratore di lunga data John Collins (Dan a Vancouver e John sulla pur vicina Galiano Island).
Con il nuovo album il musicista canadese ha cercato di andare spesso fuori dalla sua comfort zone: il primo esempio di ciò ““ e forse il più ecclatante ““ è “June”, terza traccia del disco. Se la voce di Bejar ha sempre quel suo immancabile senso di spensieratezza che l’ha resa riconoscibile da tanti anni, sono prima i synth a donare una sensazione “strana”, ma ancor di più, nella seconda parte del pezzo, quegli strani ritmi percussivi dal sapore tribale accompagnati da uno spoken-word che ci sorprendono molto, comunque in un modo che risulta divertente e piacevole.
Altrettanto sorprendente è vedere Bejar deviare i suoi binari immediatamente con la successiva “All My Pretty Dresses”, una canzone perfettamente pop dove i synth, le percussioni e le chitarre convivono senza problema alcuno con i fiati che gli permettono di costruire qualcosa di veramente elegante e delizioso.
Sembrerebbe insensato usare piano, drum-machine ed elementi elettronici prettamente dance in una stessa canzone, ma in “Eat The Wine, Drink The Bread” Dan ci dimostra l’esatto contrario e la bellezza di questo brano, rilassato e divertente allo stesso tempo, a nostro avviso è davvero qualcosa destinato a rimanere.
Se vogliamo parlare di sorprese dobbiamo ovviamente citare anche “The Last Song”, una canzone folk scritta con la chitarra, dall’animo rilassato, gentile e intimo e senza dubbio non avremmo mai pensato di ascoltarla all’interno di un album come questo: “era da tanto che non usavo la chitarra”, ci ha detto Bejar nella nostra intervista di questa primavera, ma le sue capacità con quello strumento sono comunque ancora molto buone.
Un disco sì folle, strano, caotico per molti tratti, questo “Labyrinthitis” è l’ennesima evoluzione e trasformazione per il grandissimo musicista canadese: una promozione a pienissimi voti.