Come sempre in casi come questo, è doverosa la premessa che non ho letto il libro della Ferrante dal quale è tratta questa serie.
Allora, iniziamo da quello che mi è piaciuto, ovvero molto poco.
La raffigurazione della Napoli di metà anni ’90 è davvero molto bella, forte, vivida. La fotografia, le ricocostruzioni scenografiche di alcuni suoi luoghi ed eventi, i costumi di alcuni attori che sembrano davvero quel mio amico che passava tutti i fine settimana all’Officina manco dovesse timbrare il cartellino.
Fine di quello che mi è piaciuto.
La sceneggiatura è di una banalità sconcertante e si costituisce di due sezioni che potremmo descrivere così.
Sezione 1: che pezzi di merda i miei genitori che si mettono le corna e fanno tante schifezze anche al sangue del loro sangue, però oh, sto crescendo e sto iniziando anche io a fare tante fetenzie, forse i miei genitori non sono poi così male.
Sezione 2: la gente vera sono i poveri dei quartieri marginali della città non i miei genitori che alzano il pugno e si riempono la bocca di paroloni alla festa dell’unità ma poi si bevono lo champagne nei flute nella casa al Vomero.
Gli ultimi due episodi poi, sembrano sceneggiati da un circolo dei Giovani Democratici.
La Golino casca spesso nel cosiddetto overacting però alla fine è convincente e divertente, così come la protagonista e buona parte dei giovani. Di Preziosi meglio che ometto, non sia mai che mi legge e gli viene voglia di denunciarmi, che quello viene da una famiglia di avvocati potentissimi e molto poco proletari.