Gli Algiers li avevamo già visti a Soliera l’estate scorsa. Non una serata particolarmente fortunata, con il modenese vittima di un temporale estivo, stile tropicale, che aveva ridotto il pubblico (peraltro non pagante) ad un gruppetto infreddolito come all’arrivo della Liegi Bastogne Liegi. Avevano comunque fatto il loro i ragazzi di Atlanta e, visto che Ravenna è lontana meno di un’ora di macchina, abbiamo deciso di goderceli al chiuso del Bronson Club. L’occasione era ghiotta per entrare, finalmente, in un altro dei fab four che tanto sognavamo quando, da studenti universitari, eravamo senza auto (gli altri erano le 3V: Vox, Velvet, Vidia). Un paio di birre e verso le 10 e mezza si inizia.
Sono in 5 sul palco e si comincia con “Cleanse Your Guilt Here”, dal nuovo album “Shook” che uscirà tra qualche giorno. Poco più che un intro che però ci basta per capire che la voce di Franklin James Fisher è in gran forma. Ma è subito tempo di alzare i giri e “Irreversible Damage” (uno dei singoli dall’ultimo album) inizia a scaldare la sala piena per buona parte e piuttosto recettiva. “Cry Of The Martyr” si giova anche della doppia batteria che c’è sul palco e il concerto decolla definitivamente.
“Cold World” esalta anche il registro più morbido del cantato mentre non posso fare a meno di fare il video su “I Can’t Stand It!”, gran bel singolo. “Blood” crea una buona atmosfera prima che tutti ci scateniamo sulle note aggressive di “Walk Like a Panther”. Giriamo la boa di metà concerto con uno degli episodi meno riusciti (“A Good Man”) e poi “Out Of Style Tragedy”, molto declamata.
Ci buttiamo sul rettilineo finale con la splendida “Hour Of The Furnaces”, l’intensissima “Bite Back”, l’effettata “Losing Is Ours” e la tiratissima “Death March” con cui si concedano provvisoriamente. Il bis consiste unicamente in “Green Iris” in odore di gospel. La messa è finita, andate in pace.
Gli Algiers si confermano animali da palco, il Bronson un perfetto contenitore con un’acustica più che discreta.
Ps: lasciare fuori “Disposession” mi ricorda quando gli Oasis si ostinavano a non suonare “Wonderwall”.