Gli anni Novanta sono stati anche gli anni nei quali quelle sonorità oniriche e malinconiche, cariche di feedback e di riverberi, che, successivamente, sarebbero state definite come shoegaze, prendevano forma.
“Drugs” si apre con il penetrante ronzio elettrico di “Sleeping High” che ci trasporta in un territorio ritmicamente energico ed incisivo, per poi sorprenderci con le trame ammalianti e psichedeliche di “No-Show” e quelle più morbide e leggere di “The Outside World”, dopodiché “In A Fog” ci riporta tra le ombre ed i fantasmi che vivono in un mondo perennemente avvolto dalla nebbia, una dimensione crepuscolare – in bilico tra passato e futuro – che ci rammenta tutto quello che abbiamo interrotto o che ci è sfuggito di mano, ma che potremmo avere ancora la possibilità – se solo volessimo – di riportare sotto il nostro controllo.
Una necessità di controllo che non è quella politica ed economica che caratterizza il nostro presente, ma è qualcosa di interiore e di personale, che viene espresso dalle ritmiche decise e combattive di “Three Two Go” e che, ben presto, si scioglie, attraverso i brani seguenti, nelle divagazioni liquide e sperimentali di “SIMORG-ANKA”, prima che “Long, Long, Long” recuperi le atmosfere più familiari e noise-pop dei Medicine, di un tempo che è stato, un tempo che, per certi versi, era più innocente e meno schematico e verso il quale non possiamo che essere indulgenti, soprattutto se lo confrontiamo con le ipocrite e omologanti ingerenze politically-correct che intorbidiscono e avvelenano la nostra realtà quotidiana.
“Drugs” ne è, infatti, slegato, le sue sonorità shoegaze si riflettono in una dimensione cosmica, oltrepassano l’atmosfera terrestre, per proiettarsi ed allontanarsi nello spazio profondo, negli abissi inesplorati dell’universo, laddove si muovono forze misteriose e incuranti di quella che è la condizione umana, in un miscuglio di dubbi e di paure che sono il prezzo da pagare ogni qual volta abbandoniamo le nostre rassicuranti e piatte sicurezze domestiche e ci incamminiamo su un sentiero nuovo di voci, di rumori, di interferenze, di stati d’animo, di sogni e di echi, sul quale rimettiamo in discussione noi stessi, quello che siamo, tutto quello che abbiamo ottenuto, ma che ci offre, contemporaneamente, la possibilità di migliorarci, conoscere, scoprire.