Una madida boccata d’ossigeno suscita l’ascolto dell’album solista di Jim Mannez. Parliamo di album solista, dato che le biografie riportano una lunga e proficua carriera insieme al combo de le Madri degli Orfani, storica band indie rock bergamasca, di cui ammetto di ignorarne le gesta.
Ormai sommersi da cantori in carta carbone di quel che han denominato il nuovo indie pop italico o in alternativa da seguaci della parolaccia in salsa finto trap, risulta corroborante l’album omonimo di Jim, in un panorama nostrano al limite dello stantio.
La carta vincente, se pur da ottiimizzare per le future sortite discografiche, risulta l’eterogeneità della proposta che cozza con il clima asfittico dell’omogenità quasi forzosa che si respira nell’indie italiano.
Il piglio è spesso irriverente ma senza diventare caciarone (anche se eviterei nei testi le abusate e poco efficaci citazioni di social e piattaforme di streaming) e l’autore trasuda di entusiasmo nel condividere la sua voglia di emergere come nuovo autore.
Il viaggio sonoro è un’abile commistione tra ispirazioni rock e piglio cantautorale e più che il De Gregori che alcuni si sono affannati a richiamare, citerei piuttosto, vuoi per la somiglianza vocale vuoi per l’istrionica attitudine, Rino Gaetano, un Rino Gaetano perarltro meno scolastico di un Brunori Sas.
Si perdona il fin troppo evidente, anche se immagino voluto, omaggio al fifties rock de “il re”, ma brani come “Volare o no?” o “A Volte spero di non innamorarmi più” colgono nel segno e non dispiacciono affatto parentesi come “Bacaro Tour”, cartolina di saluti ad un ipotetico amico di Tonino Carotone.
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