Se c’è un synth che ha, sicuramente, caratterizzato, plasmato e definito un’epoca, quella degli anni Ottanta, è il Roland JUNO-60.
Il suo suono profondo ed avvolgente è leggendario ed il fatto che, assieme alla batteria, costituisca l’anima di questo disco, “Suono In Un Tempo Trasfigurato”, rende questo nostro viaggio sonoro – tra atmosfere cosmiche, melodie ed echi verbali accattivanti, elettroniche liquide e minimali e, soprattutto, la capacità di ricostruire, musicalmente, il cerchio misterioso della vita – assolutamente piacevole, stimolante ed emozionante.
Personalità diverse – Francesca Bono e Vittoria Burattini, più Stefano Pilia alla produzione – che amalgamano le proprie esperienze umane ed artistiche, le proprie sensibilità più o meno elettroniche, più o meno sperimentali, più o meno riflessive, più o meno passionali, per seguire l’onda e costruire quello che è un vero e proprio dialogo sonoro attraverso il tempo e lo spazio, senza che nessun condizionamento, nessun calcolo, nessuna geografia prestabilita, nessun muro, nessuna scadenza imponga limiti alla intensità e allo spessore della ricerca e alla capacità della parola-suono di essere elemento d’unione tra quella che è la nostra realtà esteriore e ciò che, invece, continua a vivere, ad agitarsi, a sussurrare, a sognare, a dubitare nel nostro inconscio.
Ed è proprio questa relazione continua tra ciò che si vede e ciò che è nascosto, tra ciò che appare e ciò che è, tra quella che è la nostra fantasiosa creatività e quello che chiamiamo pragmatismo, adattamento, concretezza o praticità, a mantenere questi dieci brani in un perfetto stato di equilibrio tra il sogno e la veglia, in una preziosa e luccicante dimensione onirica e psichedelica, che richiama gli epici album progressive e psych-rock degli anni Settanta, restando, però, sempre ben connessa alla nostra attualità, a questo nostro morboso presente nel quale, sempre più spesso, l’ipocrisia e la retorica a buon mercato hanno la meglio sulla verità e sulla giustizia, trasfigurando la nostra stessa umanità, brutalizzandola, appiattendola, impoverendola ed omologandola su posizioni oscure, reazionarie, reprimenti e repressive.
Una dimensione orrorifica, abitata da incubi e fantasmi, alla quale Bono / Burattini rispondono con le vibrazioni delle proprie anime, con le proprie visioni sentimentali, con quelle che sono le loro prospettive future, senza mai smarrire la consapevolezza del passato, sia quello più amorevole, che quello più doloroso, e chiudendo, alla fine, questo cerchio sonoro sulle immagini, sulle testimonianze visuali, sui miti e sui fatti rielaborati dalla regista Maya Deren dalla cui opera l’album si lascia, deliziosamente e positivamente, ispirare.