Una delle figure più affascinanti della mitologia classica è quella della maga Circe: una donna che domina sola su un’isola intera e attira a sé marinai da ogni parte del mare per sedurli e trasformarli in maiali grazie alla sua magia. Una figura rimasta nella storia per ben più di un motivo, insomma. Ecco, Caroline Polachek è la Circe del pop, una donna a metà tra una maga potente e una femme fatale, che nel suo secondo album “Desire, I Want To Turn Into You” ci invita nella sua isola.
La Polachek è un’artista infinitamente curiosa, a tratti pazza, mette insieme SOPHIE, Dua Lipa e Charli XCX senza elevarsi particolarmente nel panorama pop, né con la pretesa di farlo: più che gareggiare per una posizione alta nelle classifiche potremmo dire che si colloca in una dimensione totalmente altra, dove le classifiche non esistono nemmeno. Quello che descrive nella sua musica è un vero e proprio dramma cinematografico a poco budget, che però risulta così ben riuscito da far impazzire chiunque ne venga a conoscenza. “Desire, I Want To Turn Into You” è un titolo perfettamente fedele a ciò che l’artista porta al disco (non a caso uscito il giorno di San Valentino): dal crescendo di vocalizzi ansimanti in “Welcome To My Island” alla chitarra spagnoleggiante di Marc Lopez in “Sunset”, la Polachek riesce a trasformare tutto ciò che canta in desiderio puro, ogni singola cosa per quanto improvvisata sembra ben studiata – come ad esempio il riff di chitarra nell’opener, suonata per gioco da una Polachek che la chitarra non la sa neanche suonare. “Desire, I Want To Turn Into You” è l’album pop che non tutti si aspettavano, ma che decisamente ci meritavamo; è una pietra miliare che all’electropop unisce le cornamuse (vedasi “Blood and Butter”), archi e pianoforte (“Pretty In Possible”) e non solo, il tutto in un’ottica deliziosamente esibizionista – e altrettanto perfezionista. La Polachek è tremendamente sicura in questo disco, nonostante non abbia alle spalle una lunghissima carriera sa di cos’è capace e ha tutta l’intenzione di tenerci incollati alle cuffie, prigionieri di un’isola eterea fatta di desiderio.
C’è chi la definisce la nostra Kate Bush, cosa umilmente negata dalla Polachek (che più volte ha ribadito di essere unica e insostituibile, così come la Bush). Ci asteniamo dal fare paragoni tanto grandi, ma una cosa è certa: quando si intravede un’artista con una pazzia e una voglia di fare musica così evidenti, in un modo o nell’altro entrerà nella storia. Tocca solo aspettare e vedere quando succederà alla Polachek.