Quando avevamo parlato del disco d’esordio degli Inhaler (di cui potete leggere la recensione qui), ci eravamo lasciati con la speranza che la loro personalità emergesse di più con la creazione di altri lavori, ed eccoci a “Cuts and Bruises”. Ora, la valutazione di questo disco dipende soprattutto da cosa volete trovare nella band irlandese: se vi aspettate il capolavoro, rimarrete profondamente delusi; se volete passare tre quarti d’ora con un piacevole sottofondo musicale non particolarmente impegnato, sarete alquanto soddisfatti.
Per un artista, e soprattutto una band emergente che vuole riproporre il genere dell’indie rock, è incredibilmente difficile essere totalmente originali: ci saranno sempre sonorità che ricorderanno artisti di vent’anni prima o contemporanei, campioni et similia. Gli Inhaler non sono da meno, specie con l’immenso peso della fama di “figlio di Bono” di Eli, voce del gruppo. Ancora una volta, però, ci sentiamo di dare una possibilità a questo disco, che non vuole presentarsi come un lavoro rivoluzionario, piuttosto racconta in maniera semplice e leggera la storia di come la band stava per sciogliersi. Il tutto con le più classiche sonorità del rock alternativo, come un proseguimento naturale del disco di debutto “It Won’t Always Be Like This”.
Questi quattro ragazzi non pretendono troppo da loro stessi e dalla loro musica, e forse proprio grazie a questo hanno creato un disco che, tutto sommato, tanto male non è. Numerosi gli omaggi alle loro ispirazioni, dagli Arctic Monkeys (per cui hanno anche fatto da opening act durante l’ultimo tour) ai The Smiths, esattamente come ci aspetteremmo da una band di questo tipo. “Cuts and Bruises” è un album che dà il meglio di sé nella seconda parte, nonostante sia quella solitamente più ignorata (specie nelle piattaforme di streaming, dove ormai se non ti prendono i primi due brani difficilmente ascolti anche il terzo). Da mettere in risalto soprattutto “Dublin in Ecstasy”, brano più elaborato e lungo di tutto il disco, con bridge di tutto rispetto. Notabile anche “These Are The Days“, che sembra tranquillamente uscito dall’album precedente del gruppo. In generale il resto ha quel non so che di già sentito, nel senso migliore possibile: non ci sono stati casi di plagio o di campioni utilizzati all’ennesima potenza, assolutamente, ma sentire una band giovane che propone così tante sonorità familiari (cercando di costruirsi comunque un’identità) ha un che di confortante. Nulla di pretenzioso, e in questo caso va benissimo così.
Dopotutto, la ricerca ossessiva del capolavoro (e la critica che ne deriva) in ogni disco uscente è ormai inutile, ora come ora tocca godersi tutto come viene e basta: in questo senso gli Inhaler, finora, sono una vera e propria ventata di freschezza.