A colpi di un album ogni due anni tornano i nostri preferiti Mods, con i loro bei faccini segnati in copertina, niente bizze grafiche, rughe e un po’ di vecchiaia incipiente, che tanto le cose, da quando hanno iniziato a molestare l’opinione pubblica britannica e non solo, non sono cambiate, anzi come noto, decisamente peggiorate almeno per i cittadini d’oltre Manica.

Si può tranquillamente dire che le cronache di questi anni danno pienamente ragione ed ampio spazio d’azione alla spinta ribelle da working class insita nelle acidissime, per usare un eufemismo, liriche di Jason Williamson, una Brexit sempre più vissuta con senso catastrofista, vero campo di prova visibile della storica ipocrisia british, un vortice inarrestato che allinea gran parte della politica inglese dietro scontri e ripicche che nulla hanno a che fare con la portata storica e sociale di una tra le più sciagurate
decisioni della Storia contemporanea d’Europa; ecco, come dire niente di meglio, anzi, il peggio deve ancora venire per i nostri che rappresentano un caso formidabile di preveggenza ed intersezione fra mondo musicale e aspetto sociale-politico che non trova riscontri nel music business attuale.

Per cui alla fine della fiera, se ancora escono album come questo, e “UK Grim” rimane ampiamente nel solco dei buoni album dei Sleaford, c’è solo da essere invidiosi almeno una volta a non essere degli inglesi che si divertono e si entusiasmano ad ascoltare qualcosa di veramente on the road, ad inseguire e cantare rime che arrivano dritte dalla pancia, a farsi interpreti di una condizione di vissuto nervoso e impegnato, che apre gli occhi verso la possibile consapevolezza dell’abiura dei miseri tempi post Brexit.
Io non saprei veramente dire quanto di queste cose possiamo sentirci privi, qui in Italia anche, quando servirebbero dei veri cazzoni come questi per risvegliare le coscienze, strappare quei veli del conformismo imperante e fare in modo che agli adolescenti ma non solo, non entri in testa solo il messaggio finto dal basso, da trapper brandizzati, ma qualcosa che possa solo un pò avere dei connotati di realtà, presente e desiderio di una giustizia sociale.

Forse un giorno succederà anche qui, anche altrove ma ne dubito fortemente e la risposta non è solo culturale o politica, ma può anche trovare una sua motivazione nello stile esclusivo che accompagna queste invettive, quel miscuglio consistente, fuori dalle nostre corde, frutto di contaminazioni anche di derivazione interazziale, che ingloba nelle basi di Simon Parfrement il post punk dei PIL, l’hardcore dei primi 80, reminiscenze dub, il tutto rinforzato dall’ormai sempre più solido intreccio decennale fra i due
mods.

Di fatto, “UK Grim” non si discosta molto da quanto sentito nei precedenti album, gli Sleaford ci mettono la faccia come in copertina per dire che fanno bene le cose che sanno fare, sempre urgenti, sempre concise sempre efficaci, con maggiore affinamento forse, non dando mai nulla per scontato e scegliendo l’alternanza fra ritmi indiavolati e brani con più accento melodico, sempre con Williamson ampiamente miglior interprete possibile di questi spoken profondi e incazzati, sempre a schiena dritta che tanto, come detto, la strada gli si spiana sotto.
In questa compattezza delle canzoni ci sono leggere ma molto interessanti deviazioni che prefigurano alla fine possibili sviluppi futuri, nelle collaborazioni con la voce calda di Florence Shaw dei Dry Cleaning e i Jane’s Addiction (ragazzi, i Jane’s Addiction!!!), entrambe perfettamente riuscite, entrambe con la chiara sensazione di rispettare le reciproche esigenze e peculiarità musicali: e se nel caso di “Force 10 From Navarone” la voce ed il background della cantante dei Cleaning è una scelta affine rispetto ad un humus in cui vengono costruiti universi di noia da impotenza sociale che si stagliano su un groove dub ossessivo, restava la sorpresa di sentire la voce di Farrell alle prese coi nostri in “So trendy” e anche qui ne esce un brano dai presupposti bizzarri ma che suona benissimo, una specie di cantilena hip hop a la De La Soul dove si insinua un anomalo feeling di allegria dovuto al solito modo giocoso del leader degli Addiction nell’interpretare le melodie, in un contesto di critica verso l’esibizionismo da social network.