Arriverà mai un momento in cui potremo lamentarci della Cherry Red? Ne dubitiamo. Tra le tante uscite e i favolori recuperi che spesso l’etichetta ci propone, non potevamo non notare che a fine maggio è in arrivo un cofanetto di ben 6 CD dedicato interamente ai Chapterhouse (pre-order), con la discografia della band di Reading che viene proposta interamente. Gli album, gli EP, demo a volontà e pure canzoni inedite. Per noi adoratori dello shoegaze è una vera e propria manna dal cielo. Che poi quando si parla di Chapterhouse è quasi riduttivo usare solo il termine shoegaze.
La band nasce nel 1987 per mano dei due cantanti/chitarristi Andrew Sherriff e Stephen Patman, ma prima di arrivare alla prima uscita vera e propria dobbiamo attendere il 1990 con l’ EP “Freefall” che contiene la classica “Falling Down” (che nel debutto troveremo appena più rifinita) che mette in luce come la band non abbia problemi a sventolare anche la band di un sonico acid-rock decisamente sonico e magicamente popedelico…
Nell’ EP svetta anche la rumorosa “Need (Somebody)” con il suo micidiale cambio di tempo centrale e quell’assolo visionario, prima di ripartire in modo rutilante verso il finale, mentre “Inside Of Me” ha questi sali-scendi sonici costanti e deraglianti e “Sixteen Years” mette ancora di più in luce come la band sappia navigare sul mare dell’oblio e della psichedelia ma poi, tutto all’improvviso, eccola accendere gli interruttori del noise.
Giusto un paio di mesi dopo arriva “Sunburst”, il nuovo EP che contiene, in primis, il sogno ad occhi aperti di “Something More”, magicamente onirica prima che la chitarra potente venga a svegliarci all’improvviso. Eterei e poi, all’improvviso ecco lo shoegaze. Questi erano i Chapterhouse, in bilico tra i mondi, ma perfettamente in equilibrio…
“Satin Safe” è cadenzata e oscura, ci porta in un mondo di distorsione ma poi ecco il classico cambio di tempo, marchio di fabbrica della band, per il ritornello ancora una volta completamente imbevuto di popedelia. Se “Feel The Same” porta un ritmo groovato che cattura, ecco che la cover di “Rain” dei Beatles è, per noi devoti dello shoegaze, un vero e proprio tripudio. Un jagle-shoegaze-pop che ci manda letteralmente fuori di testa.
Ovviamente anche “Pearl” merita di essere la traccia guida di un EP. La canzone, che risulterà essere un vero e proprio capolavoro dello shoegaze, è impreziosita dalla voce magnifica di Rachel Goswell degli Slowdive, quasi a cementare la grande intesa e amicizia che c’era tra le due band.
“Come Heaven” è una b-side che mette in luce il lato più sognante dei Chapterhouse e la stessa cosa la possiamo dire per “In My Arms”, che non presenta le chitarre rumorose e acide dei primi due EP, ma anzi, è un brano che si muove morbido e sinuoso, con una voce paradisiaca. Sherriff e Patman dimostrano in questi brani la loro versatilità. Sono perfettamente in grado di scrivere vere e proprio perle dream-pop ce ci lasciano a bocca aperta (tranquilli che nel cofanetto tutte queste b-side che ho citato ci sono!).
Su “Whirpool” c’è poco da dire. Abbiamo già fatto un compleanno in merito, 2 anni fa, festeggiando le 30 candeline di un disco che è un vero e proprio manifesto. Io lo ritengo un album fondamentale. Bellissimo. Io vi ricordo solo che si apriva così…da restare senza fiato…
“Mesmerise” EP si apre con il brano ominimo che pure Robert Smith dei Cure ha ammesso di adorare. Una canzone che ti porta in un mondo lisergico, che ci cattura completamente e ci manda in trance: il ritmo con questo morbido groove, il giro di piano, e la sensazione letteralmente di volare, perdendo il contatto con la realtà. Magia purissima.
Anche “Precious One” lavora sul ritmo, con un basso incalzante. Una discoteca dream-pop, questo ci portano a pensare i Chaterhouse. Si muove il piede, ineviabilmente, ma è come se fossimo inun sogno. Splendido il lavoro sulle voci. “Summer Chill” ha questo ritmo che ci arriva da lontano con dei tamburi, ma è un mondo completamente onirico quello che ci avvolge. ma è con “Then We’ll Rise” che la band ci manda in paradiso. Ancor auna volta siamo più in zona dream che shoegaze. Un riff di chitarra che poi si slabbra e ci avvolge, grazie a queste voci che si sublimano, si cercano, si mescolano in continuazione e poi il ritornello…pelle d’oca purissima. Una canzone che sembra incredibile vedere solo come b-side.
Nel box della Cherry Red compaiono i famosi Courtyard Demos (e occhio che ci sono parecchi inediti): quello è il momento in cui la band si stava apprestando a fare qualcosa di nuovo, sviluppando il suono lisergico che avevamo sentito in “Mesmerise” EP e che poi porterà a “Blood Music”, il secondo album che conferma il mood psichedelico e accentua maggiormente il lato elettronico e ballabile, allontanandosi dallo shoegaze per approdare a territori più vicini a Primal Scream più danzerecci, se vogliamo. Psichedelia da ballare. Ma la critica rimase spiazzata e probabilmente anche i fan che non si aspettavano un tiro così dance. La band però era assolutamente convita di questa scelta e la voglia di sperimentare era tanta, a tal punto che l’album aveva una limited edition con una rilettura praticamente ambient dello stesso disco, “Pentamerous Metamorphosis”, curata da Global Communication (sul box ovviamente c’è!). Le chitarre non mancano, ma sono sempre accompagnate da groove costanti e incalzanti e il singolo “She’s a Vision” ne è ottimo esempio, idem “We Are The Beautiful”, che recupera il lato popedelico…
Certo, non di solo dance vive l’uomo, ma la band in qualche frangente ritrova lo spirito agguerrito di un tempo , basti pensare a un gran bel pezzo come “Greater Power”, nel quale le chitarre ritornano quelle di un passato (più pulite certo), ma sembra davvero di ritrovare, per un attimo, i Chapterhouse dei primi anni ’90.
Va da sè che, con il tempo, “Blood Music” ha trovato nuovi estimatori e si è dimostrato un disco che ha anticipato non poco i tempi. Ora spesso lo shoegaze si aggancia a ritmi più ballabili, per esempio, ma anche nel britpop (che nel 1993 era giusto alle porte), una formazione come i Mansun (un po’ di anni dopo, giusto a dire che i Chapterhouse erano arrivati fin troppo presto) non disdegnava affatto l’inserimento di parti più ballabili e incalzanti e proprio per questo fece breccia anche nelle classifiche. La cosa invece non accadde con i Chapterhouse, che accusarono il colpo, inziando a perdere pezzi importanti come Ashley Bates, che verrà sostituito dal mitico Simon Scott degli Slowdive. Nel box vi sono molti demo (inediti) del periodo 1994-1995, che faranno la gioia dei completisti e sopratutto fanno immaginare come sarebbe pututo essere il terzo disco dei Chapterhouse. Completisti che, a dire la verità, saranno felicissimi anche delle rarità presenti sul quinto CD (prese da oscure uscite bonus o flexi disc). Nel 1996 usciva “Rownderbowt”, raccolta di successi, brani rari, b-side, e demo, che metteva praticamente la parola fine alla loro avventura. Ecco, “Chronology” è il passo avanti rispetto a questa uscita: un box ancora più completo, ricco e indispensabile per mettere in luce un gruppo che va visto e capito nella completezza della sua produzione e non certo con l’ascolto dei singoli più famosi.
Lo avrete capito. Questo articolo serve ovviamente per esprimere il mio amore verso i Chapterhouse, ma anche per altri due motivi. Manifestare la mia graditudine verso la Cherry Red e invogliare voi, lettori di IFB, all’acquisto di “Chronology”, un cofanetto imperdibile per i devoti della band ma anche per chi li conosce solo per sentito dire. Dico imperdibile non solo per l’aspetto sonoro e le tante chicche (comunque troverete una ventina di inediti) ma anche per il fatto che il tutto è stato curato e approvato dal gruppo stesso e, occhio, ci sono pure le note di copertina di Nathaniel Cramp della Sonic Cathedral, che si è fatto una bella chiacchierata con la band, che approfondisce tutta la sua storia e il suo percorso musicale in un libretto di ben 64 pagine, ricco di immagini inedite, cover, foto, locandine, memorabilia e quant’altro.
Chissà se “Chronology” porterà la band a riunirsi, come era già successo tra il 2008 e il 2010 (senza Russell Barrett, giusto dirlo), per una serie di live. Noi, ovviamente, lo speriamo!