La più grande domanda che anticipava la visione di questo terzo capitolo dedicato ad Adonis Creed, figlio del leggendario Apollo della saga di Rocky, era se il nuovo eroe del cinema pugilistico sarebbe sopravvissuto all’assenza, per la prima volta, di Stallone/Balboa in un film della sua saga. La risposta è si e no.
In realtà questo terzo capitolo è molto più vitale ed avvincente del secondo, che non riusciva a replicare l’effetto nostalgia e l’epica del primo, abusando invece stancamente dell’iconografia rockyana. Lo è proprio perché si smarca dal mondo di Rocky e comincia a costruire un universo narrativo proprio, inscenando una minaccia che viene dal passato di Adonis e che non ha nulla a che vedere con Rocky o Apollo, come invece succedeva nel film precedente con il figlio di Ivan Drago.
Detto questo, va sottolineato però che, pur vivace, il nuovo corso della storia non è chissà quanto originale ed eccitante e che dunque la speranza è che si tratti soltanto di un inizio. Che dunque la saga possa svilupparsi ulteriormente puntando più in alto.
Lo si spera perché comunque, pur trattandosi ormai di cliché, le scene di combattimento e quelle degli allenamenti, con entrambe le tipologie portate sempre più all’estremo, gasano sempre che è un piacere.
Al netto di qualche ingenuità buono anche l’esordio alla regia del protagonista Michael B. Jordan, molto figo con una parlata slang biascicata da cult istantaneo il rivale Damian Anderson interpretato dal bravissimo Jonathan Majors.