La notte come metafora della solitudine, dello smarrimento, delle attese e di quelle anime perdute in cerca di una risposta. La notte eterna, silenziosa finché non arriva la luce.
Il nuovo film di Mikhaël Hers, finalmente nelle sale italiane dal 13 aprile grazie alla distribuzione coraggiosa di Wanted, è un piccolo gioiellino nascosto della cinematografia francese. Con uno stile un po’ retrò, a tratti andante all’hipsterismo più totale, spicca per
bravura ed intensità Charlotte Gainsbourg.
Parigi, anni ‘80: tra lotte politiche accese nelle strade e rivoluzioni socio-culturali, Élisabeth (Gainsbourg) cerca di uscire da un tunnel depressivo causato dalla fine del suo matrimonio. Abbandonata dal marito, e sola in casa con i figli Matthias e Judith, la madre deve rimettersi in gioco trovando per prima cosa un lavoro. E l’impiego lo recupera alla stazione radiofonica Radio France, nel programma serale che nessuno ascolta tranne proprio lei durante le sue insonnie quotidiane.
Inizia un così un racconto familiare e personale, intrecciato dalla vita della protagonista allo sbando e da quelle dei figli (in particolare il maschio) per cercare di trovare una via d’uscita, una luce, alle notti passate a pensare. Durante una di queste notti, alla fine del turno, Élisabeth decide di ospitare a casa Talulah, una ragazza invitata al programma serale per raccontare la sua esperienza di nomade per le strade della capitale.
Talulah è sicuramente l’emblema dell’anima vagabonda in cerca di un motivo per fermarsi, posare lo zaino e smettere di camminare. S’inserisce in una dinamica familiare complessa: la madre in balia dei problemi post-divorzio, la figlia Judith sempre di più presa nelle lotte politiche ed il figlio, Matthias, che della scuola non gliene può fregare essendo proiettato alla vita del poeta maledetto. Sarà proprio questa vagabonda, una passeggera della notte, a portare la famiglia ad un ricongiungimento nella diversità.
La pellicola è prettamente di stampo francese: primi piani sui personaggi per scavare nel loro animo; inquadrature urbane di vario genere, dalla natura alla gentrificazione di quartieri un tempo popolari; le voci fuori campo, ad inizio e fine film, per chiudere il cerchio della storia. Ci sono però degli elementi che, seppur trascurabili nel suo contesto generale, potevano essere inseriti diversamente: partendo proprio dalla strutturazione del personaggio di Talulah che sì, riunisce la famiglia, ma in compenso è proprio una visione passeggera che lascia un segno presto dimenticabile; il personaggio di Vanda, la speaker del programma
notturno poco ascoltato, interpretata dalla bravissima Emmanuelle Béart, poco sviluppata se non per poche sequenze ma che invece poteva essere inserita meglio essendo lei un’altra passeggera della notte; infine, le riprese finte in stile anne ‘80 (in quelle che sembrerebbero in 8 mm) che speravo fossero originali ma nada.
Tralasciando questi ultimi aspetti, il film rimane un prodotto valido di deliziosa semplicità: non vi aspettate una grande storia rivoluzionaria quanto qualcosa di piccolo e sincero, che nonostante i suoi piccoli difetti vi aprirà il cuore.