È paradossale come, la nostra società, così tecnologicamente e scientificamente avanzata, sia sempre più condizionata da una casta di ignavi, di narcisisti vigliacchi e di inetti, il cui unico obiettivo è mantenere un’immagine alta del proprio io, per sé stessi e per gli altri, nella consapevolezza di non essere in grado di affrontare una qualsiasi critica o di argomentare una semplice replica.
Il problema, però, è che proprio a questa gente, preoccupata solamente di salvarsi la faccia (a volte la coscienza), abbiamo permesso di impadronirsi del potere politico ed economico e determinare, di conseguenza, quel vuoto atroce che, oggi, separa le persone, obbligandole a nutrirsi di paura, astio, individualismo e diffidenza. Un vuoto nel quale la musica, intrisa di sonorità grunge e post-metalliche dei Solaris, trova il terreno fertile nel quale far germogliare i semi di quello che è un processo emotivo, sia introspettivo, che collettivo, che dovrebbe consentire a tutti noi di liberarci di questa visione distruttiva e auto-assolutoria del prossimo, il quale deve essere, necessariamente, colpevolizzato e trasformato nella causa principale dei nostri insuccessi, delle nostre sofferenze e delle nostre mancanze.
Un atteggiamento che abbiamo conosciuto abbastanza bene durante i terribili mesi della pandemia, nei quali, tra divieti spesso assurdi, restrizioni il più delle volte ingiuste e una pubblica e maniacale caccia agli untori da crocifiggere, magari in diretta social sulle maggiori piattaforme di streaming, abbiamo lasciato che ci rinchiudessero in un fluido e compiacente Antinferno. Un luogo virtuale e fasullo, esteticamente perfetto, al quale la band romagnola contrappone la propria rumorosa e vibrante tensione, un martellamento di verità, spesso crude e claustrofobiche, opprimenti e morbose, che frantumano tutta la frustrazione e l’ansia che abbiamo accumulato, sciogliendole in un flusso energetico costruttivo in grado di superare le distanze spaziali e consentire alle crepuscolari trame sintetiche di “Preda” o alle divagazioni chitarristiche di “Germanio” di oltrepassare il vangelo delle pene e delle colpe al quale la casta bramava farci restare, per sempre, aggrappati e vincolati. Ed invece, solo attraverso la condivisione e la conoscenza di esperienze umane e musicali diverse, ma contigue, possiamo immaginare una salvezza alternativa che non sia costruire esistenze isolate ed asettiche, esperienze in compartimenti stagni, emozioni in cattività, urla sotto vuoto, concerti per ricche teste di cazzo, canzoni prodotte da intelligenze artificiali, prediche domenicali, leggi di mercato che ci impongono la loro direzione obbligatoria, una perfida guerra santa combattuta per accaparrarsi quelli che sono solamente gli avanzi del sistema finanziario che sfrutta e schiavizza i più deboli.